Addio a Giuseppe Rotunno, il mago della luce

Giuseppe Rotunno. Courtesy Archivio fotografico della Cineteca nazionale.
di Claudia Stritof
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Il mio sogno era poter, prima o poi, intervistare Peppino Rotunno. Sono arrivata tardi e questo non potrà più avvenire, perché il 7 febbraio 2021 ci ha lasciati nella sua casa romana. Giuseppe Rotunno, nato a Roma il 19 marzo 1923, è stato uno straordinario direttore della fotografia che ha contribuito con la sua arte a realizzare grandi capolavori della cinematografia italiana e internazionale.

Rotunno ha lavorato a pellicole come Amarcord di Federico Fellini, Il gattopardo e Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, Ieri, oggi, domani di Vittorio De Sica, Le streghe, film collettivo del 1967 prodotto da Dino De Laurentiis, Non ci resta che piangere di Roberto Benigni e Massimo Troisi, e ancora Le avventure del Barone di Munchausen di Terry Gilliam, Sabrina di Sydney Pollack e La sindrome di Stendhal di Dario Argento. Per non parlare dei premi ricevuti: due David di Donatello, sette Nastri d’Argento, una nomination all’Oscar per la migliore fotografia per All That Jazz – Lo spettacolo continua di Bob Fosse nel 1980 e via discorrendo.

Giuseppe Rotunno sul set del film ‘La Maja desnuda’ (1958). Courtesy Archivio fotografico della Cineteca nazionale.

Quella di Rotunno è stata una carriera molto lunga, fatta di molteplici esperienze formative, sperimentazione e, prima di tutto, di passione. Un percorso che ha inizio nella camera oscura del laboratorio fotografico di Cinecittà, sotto l’egida del maestro Arturo Bragaglia, il quale nutriva sincera stima verso l’allora giovanissimo Giuseppe.

Rotunno incontra Bragaglia casualmente. Infatti, dopo la morte del padre, il quale era titolare di una sartoria, Giuseppe Rotunno nel 1938 abbandona la scuola per cercare lavoro, così da aiutare economicamente la famiglia. Un amico lo informa che proprio in quei giorni a Cinecittà si stavano svolgendo dei colloqui per il ruolo di elettricista, ma mentre Peppino era in fila ad aspettare che il suo turno arrivasse, qualcosa accadde.

È lui stesso a raccontarlo in una bellissima intervista realizzata da Giulio Brevetti per Artribune: “Mentre ero in fila passarono due o tre miei coetanei che si lamentavano di un certo Bragaglia, che aveva uno studio fotografico. Sentendo che per ragioni di carattere non ci andava nessuno, allora sono andato io. Sono andato da lui, ho fatto amicizia, mi ha preso a benvolere come un padre. A fine settimana mi dava una Leica, io facevo le fotografie per conto mio e il lunedì, quando tornavo allo studio, le sviluppavo e le stampavo, insomma ho cominciato a fare il fotografo”.

Giuseppe Rotunno con Luchino Visconti sul set del film ‘Rocco e i suoi fratelli’ (1960). Courtesy Archivio fotografico della Cineteca nazionale.

Con il sopraggiungere della Seconda Guerra Mondiale il giovane Peppino parte per il fronte con la sua attrezzatura e sul campo realizza documentari da inviare al comando generale dello Stato Maggiore del Regio Esercito; questo almeno fino al settembre del 1943, quando viene catturato in Grecia e deportato in Germania fino al 1945. Tornato in patria, prosegue la carriera come aiuto-operatore, per diventare in breve tempo operatore di macchina e, infine, direttore della fotografia, proprio durante gli anni del cinema neorealista, impegnato culturalmente e “libero di esprimersi”.

È il 1955 quando Giuseppe Rotunno fa il suo debutto come direttore della fotografia per il film Pane, amore e… di Dino Risi e da allora non si è più fermato; tanto che da abile artista quale era, oltre a lavorare sul set, Rotunno diventa insegnante per il corso di fotografia alla Scuola Nazionale di Cinema del Centro Sperimentale di Cinematografia, dove giunge nel 1988 per volere di Lina Wertmüller.

Sempre nello stesso anno viene chiamato dal regista Terry Gilliam, ex Monty Python, per partecipare alle riprese de Le avventure del Barone di Münchausen, film tratto dai bellissimi racconti settecenteschi di Rudolf Erich Raspe. Un film straordinario, che vanta un cast tecnico di tutto rispetto, infatti oltre a Rotunno per la fotografia, annovera anche la costumista Gabriella Pescucci e lo scenografo Dante Ferretti.

Giuseppe Rotunno con Federico Fellini sul set del film ‘Amarcord’ (1973). Courtesy Archivio fotografico della Cineteca nazionale.

In un’intervista registrata Giuseppe Rotunno ha affermato come il mestiere del direttore della fotografia consista proprio nel trovare i difetti della luce che ogni giorno ci accompagna nella vita reale, per “trasformarla alle nostre esigenze di racconto. Non sempre la luce che si trova nelle nostre città è utile al racconto che stiamo facendo per cui se contrasta con la storia impariamo a tradurla, a trasformarla in modo tale che rappresenti meglio le emozioni della storia che stiamo girando».

Il direttore della fotografia e il regista, lavorando insieme sinergicamente, rendono possibile il sogno e permettono allo spettatore “di entrare in un racconto cinematografico senza essere distratti” da altri elementi perché, in fondo, aveva ragione François Truffaut quando affermava “fare un film significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, significa prolungare i giochi dell’infanzia”.

Giuseppe Rotunno ci ha regalato dei sogni e non possiamo che essergli immensamente grati. Buon viaggio Peppino!

 

8 febbraio 2021

 

Revisione dell’articolo Giuseppe Rotunno: il mago della luce pubblicato sul sito www.cultmag.it di proprietà della stessa autrice in data 10 gennaio 2017 (aggiornato all’8 maggio 2019)

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