LE RICERCHE VISIVE DI NINO MIGLIORI

di Luca Sorbo
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Le ricerche visive di Nino Migliori al Castello Estense di Ferrara

“Ho sempre considerato la fotografia alla stregua della scrittura, anche se ovviamente il testo è fatto di parole e non di immagini. Di conseguenza il racconto è inevitabilmente il punto di vista del fotografo, la sua personale interpretazione della realtà. La narrazione può declinarsi in diversi generi: tutto dipende da ciò che si vuole comunicare, può essere una novella, un articolo di cronaca, un romanzo, una poesia, un saggio o un tweet. Questo è uno dei capisaldi attorno al quale si è sviluppato il mio lavoro fotografico”

Queste parole possono essere una valida introduzione alla retrospettiva dedicata a Nino Migliori, classe 1926, a cura di Denis Curti, che è possibile ammirare a Ferrara, intitolata, Una ricerca senza fine.

La mostra, inaugurata il 17 febbraio, si è conclusa lo scorso 3 giugno.

 Il fotografo bolognese è uno dei padri nobili della fotografia italiana del dopoguerra. Nel suo lungo ed intenso percorso sono sintetizzate le principali tendenze della ricerca visiva nazionale. Nato a Bologna nel 1926 comincia il suo percorso confrontandosi con le esperienze amatoriali più interessanti del dopoguerra. In quest’epoca si confrontavano due modelli, quello della Bussola guidata da Giuseppe Cavalli che predicava una ricerca estetica pura, basata sulle alte luci e quello della Gondola di Venezia guidata da Paolo Monti che privilegiava un’ attenzione al reale e si esprimeva attraverso immagini con neri profondi.

La città di Bologna e l’Emilia Romagna sono sempre stati al centro del suo interesse. Fotografa le persone che incontrava per strada, realizzando spesso foto di gruppo. Da queste esperienze nascono i suoi lavori Gente del Delta e Gente dell’Emilia che sono esposti nella seconda sala.

La prima sala è dedicata agli autoritratti e già da queste immagini si comprende il desiderio di sperimentare e di sperimentarsi.

Fin dal 1948 attrezza una piccola camera oscura e comincia a verificare le possibilità tecniche ed espressiva del materiale fotosensibile. È sempre guidato dalla propria curiosità. In modo naturale, senza troppi intellettualismi, realizza immagini astratte ed informali che dialogano con le indagini visive più avanzate dell’arte contemporanea.

Le sue ricerche più famose sono sicuramente le immagini dei muri e dei manifesti strappati. Ricerche che lo hanno impegnato dagli anni Cinquanta del Novecento agli anni Settanta. Migliori dichiara: “Facevo i muri perché mi interessava l’uomo. Sono le raffigurazioni del suo passaggio: dalle grotte di Altamira alle scritte sui muri di Pompei, agli strappi, ai graffiti contemporanei. L’uomo davanti a un muro si disinibisce, sia che adoperi dei pigmenti, sia una chiave per graffiare o un pezzo di gesso o una bomboletta spray; libera il suo inconscio la sua espressività ed è sé stesso. Ecco perché la ricerca sui muri- la macchia, l’informe, i manifesti stracciati, le muffe, l’umidità, le tracce, le scritte- che testimoniano lo scorrere del tempo, che riferiscono la successione degli interventi delle persone, per me hanno un fascino particolare.”

Carlo Arturo Quintavalle sottolinea: “La ricerca di Migliori è profondamente originale e differente da tutto quanto lo ha preceduto: per lui la storia è quella del tempo degli uomini, appunto un tempo umano, una storia materiale, di durata. Migliori non vuole rapire nessuna immagine, per lui essere fotografo vuol dire testimoniare, nelle tracce, l’icona urbana e la sua storia. Conduce sulla città un’operazione profondamente rivoluzionaria, perché pone l’accento proprio su ciò che viene rimosso.”

Negli anni Settanta Bologna è il centro della ricerca artistica contemporanea italiana e non solo. Performance, ricerca di nuovi linguaggi, impegno sociale sono le grandi direttrici delle nuove generazioni. Migliori segue sempre una sua strada personale, che dialoga con il contemporaneo, ma che utilizza sempre le attrezzature e le possibilità del fotografico. In questo differisce dai tanti artisti che si sono confrontati con la fotografia, poiché per lui il linguaggio fotografico non era solo un mezzo, ma era il luogo privilegiato della sua ricerca. Il suo sperimentare si nutre della casualità, cerca volontariamente di indagare i limiti dei materiali fotosensibili, provando solo in un secondo tempo a comprendere razionalmente i risultati ottenuti.
Migliori considera un suo grande maestro Lucrezio e dal De rerum natura, che ha letto più volte, ha tratto ispirazione per alcune sue ricerche che hanno per oggetto il paesaggio, come ad esempio le polaroids manipolate.

Un altro maestro ideale è Leonardo da Vinci dal cui insegnamento è nata la ricerca Lumen, in cui riprende alcuni capolavori, come il Cristo velato, con la sola luce di una candela, ottenendo un effetto visivo particolarissimo.

I fotogrammi, le ossidazioni, i pirogrammi, gli idrogrammi, i polarigrammi sono solo alcune delle sue sperimentazioni. Ama sempre cambiare, è interessato al discorso concettuale, ma cerca sempre nella materia un’impronta efficace e rivelatoria. Non si è mai fatto imprigionare in uno stile, ha sempre giocato con la tecnica e con il linguaggio fotografico.

Per i giovani autori, sempre alla ricerca di una scrittura definitiva, può essere un modello, perché per Nino Migliori niente è definitivo, c’è sempre qualcosa di nuovo da indagare. La fotografia di autore è spesso imprigionata in una riconoscibilità forzata, spesso ridondante. Il grande fotografo bolognese è un esempio di come l’essere libero sia più importante dell’essere riconoscibile e vendibile.

Più che al risultato finale è sempre stato interessato allo sperimentare e con Sant’Agostino potremmo dire che il suo cercare è già un trovare.

Segnaliamo il sito della Fondazione Migliori, www.fondazioneninomigliori.org , che gestisce il suo archivio ed organizza varie attività per far conoscere e valorizzare le tante ricerche del maestro che a 98 anni è una delle menti più lucide ed innovative della fotografia italiana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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