di Beatrice Bruni
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“L’uomo, cantami, dea, l’eroe dal lungo viaggio, colui che errò per tanto tempo dopo che distrusse la città sacra di Ilio. Vide molti paesi, conobbe molti uomini, soffrì molti dolori, nell’animo, sul mare, lottando per salvare la vita a sé, il ritorno ai suoi compagni. Desiderava salvarli, e non riuscì; per la loro follia morirono, gli stolti, che divorarono i buoi sacri del Sole: e Iperione li privò del ritorno. Di questi eventi narraci qualcosa, dea, figlia di Zeus.”
Omero, Odissea, Libro I
Dodici tappe, da Troia a Itaca, ripercorrendo la rotta di Ulisse: Stefano De Luigi, fotografo italiano membro della VII Photo Agency, ha viaggiato nel 2012 per alcuni mesi seguendo le peregrinazioni per mare e per terra dell’eroe omerico.
Ci sono varie teorie riguardo al viaggio di Ulisse: De Luigi si è ispirato al percorso narrato dal famoso ellenista e studioso omerico Victor Bérard nel suo libro del 1933 Dans le sillage d’Ulysse, attraversando Turchia, Tunisia, Italia e Grecia.
Da molti anni il fotografo voleva realizzare un progetto che conciliasse letteratura e fotografia. È al tempo stesso una riflessione sul linguaggio fotografico e una descrizione dei paesi del Mediterraneo oggi, cosa è rimasto di quelle civiltà e culture, i luoghi, gli abitanti, le antiche vestigia.
È un attraversamento di confini, inquieti e noti, in cui l’autore ha incontrato la crisi economica della Grecia, la Turchia divisa tra l’identità tradizionalista e la spinta verso le nuove sfide dell’occidente, la Tunisia, il paese che ha dato vita con la Primavera araba alle più grandi speranze di rinnovamento, e l’Italia, il suo meridione, con le tradizioni, le contraddizioni, il misticismo, e oggi difficile approdo. Un viaggio sulle rotte dei migranti, uno sguardo sul Mar Mediterraneo, luogo drammaticamente testimone di peregrinazioni di uomini e donne alla ricerca di una vita migliore, lontana dalla guerra e dalla povertà. Un viaggio che è la metafora dei destini dell’uomo.
Alla nascita della fotografia con lo smartphone, avvenuta agli inizi degli anni Duemila con l’uscita del primo telefono cellulare con fotocamera integrata, molti fotografi professionisti hanno guardato con scetticismo a questi nuovi strumenti. Il professionista non si riconosceva affatto nella semplicità d’uso di un mezzo “per tutti”; inoltre, almeno inizialmente, i file prodotti non erano abbastanza soddisfacenti, non eguagliando le caratteristiche dei file realizzati dalle fotocamere digitali, soprattutto alla prova della stampa.
Stava tuttavia per realizzarsi una vera e propria seconda rivoluzione digitale, dovuta soprattutto alla concomitante e sempre crescente possibilità di condivisione delle immagini sul web. Oggi, in anni in cui i social media scandiscono il tempo delle nostre vite, i primi vagiti della fotografia mobile fanno quasi sorridere. Ormai lo smartphone è un prolungamento del nostro corpo, una sorta di protesi, e il fatto di scattare fotografie è un modo qualunque di registrare informazioni, con gli intenti più diversi: per l’utente comune è una maniera per dire al mondo “Sono qui, adesso”, per il fotografo professionista è uno strumento di scatto e di condivisione, alleato fondamentale nell’esercizio quotidiano della professione.
Stefano De Luigi non è mai stato scettico riguardo all’uso di questi nuovi media e ne ha capito subito le grandi potenzialità; attento osservatore dei cambiamenti della società, ha riflettuto sempre sulle nuove forme della visione. In iDyssey, lavoro sfociato in un libro dal titolo omonimo, pubblicato nel 2017 da Edition Bessard, l’autore vuole coniugare, oltrepassando i confini temporali, il passato e il futuro della cultura occidentale. Il viaggio antichissimo di Ulisse viene ripercorso raccontando l’attualità dei luoghi che visitò l’astuto eroe, tramite l’uso del più contemporaneo dei mezzi.
Ne nasce un cortocircuito visivo in cui segni antichissimi, luoghi contraddistinti da una storia millenaria, resti archeologici, e persone che conducono una vita lontana dalla modernità, nella tradizione, vengono raffigurati nelle immagini di uno smartphone, immagini contemporanee, contraddistinte da un’estetica ben precisa, riconoscibile, futuribile.
L’autore, per questa specifica operazione, ha deciso di utilizzare un’applicazione per lo scatto, Hipstamatic, uscita quello stesso anno, e non ha avuto paura di usare filtri diversi e sperimentare anche tonalità inusuali: a rendere uniforme il progetto nel suo insieme il formato quadrato, molto in voga nella seconda decade degli anni Duemila, quando Instagram, social network nato nel 2010, iniziò a dettare le regole in fatto di immagini. In origine la piattaforma supportava solo il formato quadrato, e molti progetti fotografici venivano così prodotti.
Per De Luigi l’uso dell’iPhone è anche una sorta di ritorno al passato: il sapore “analogico” delle app che rimandano a un’estetica vintage, e le stesse dimensioni del mezzo, che ricordano al reporter quando lavorava con la Leica che, in molte situazioni, lo faceva ritenere invisibile.