L’importanza dello Sguardo

World Press Photo of the Year Nominee © Ronaldo Schemidt / Agence France Presse
di Daniela Mericio
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Un altro Photolux Festival si è concluso, lasciando nella memoria una scia di immagini, eventi, visioni che, oltre ad ampliare i nostri orizzonti, invitano alla riflessione.

L’appuntamento con il World Press Photo ospite a Lucca ha, ancora una volta, occupato un ampio spazio sulla scena del Festival, come si conviene al concorso più prestigioso del fotogiornalismo mondiale. Fotografie di altissima qualità, testimonianze che hanno il compito di documentare la realtà attraverso lo sguardo di fotografi di talento, capaci di restituircela in composizioni perfette, di grande risonanza emotiva.

Il fotogiornalismo è una finestra aperta sul mondo, il cui primo dovere è informare sugli avvenimenti, colti attraverso uno sguardo onesto, ispirato a criteri di credibilità, attendibilità, veridicità. È meno libero rispetto ad alte forme di fotografia, ma è la sua natura. Almeno, così dovrebbe essere. Nella nostra epoca, definita della post-verità, spesso la verità viene messa da parte, al fine di suscitare emozioni e sensazioni. In tempi recenti diversi sono stati i casi di manipolazione, attribuzione imprecisa o ricostruzione fittizia di situazioni mai avvenute. Alcuni hanno fatto scalpore e numerose sono state le squalifiche in diverse edizioni del World Press Photo. La fondazione che gestisce il premio, la World Press Photo Foundation, di anno in anno rivede il proprio codice etico e inasprisce le regole di accesso al concorso in nome della professionalità. Nell’era delle fake news e dell’estrema superficialità nella fruizione delle notizie, la fotografia di reportage è l’ultimo baluardo contro la mistificazione.

C’è un altro aspetto da considerare. Oggi le nuove tecnologie e il web ci restituiscono un mondo dove le distanze si sono radicalmente ridotte e nel quale non esistono più fatti sprovvisti di immagini. Di conseguenza, non esistono più, almeno virtualmente, storie e luoghi irraggiungibili, inaccessibili o inimmaginabili. Sono anni che, per questo, si discute delle trasformazioni che investono il fotogiornalismo.

Difficilmente un reportage sarà la nostra prima possibilità di guardare da vicino una notizia. Probabilmente avremo avuto già modo di osservarla sul web, magari nelle fotografie e nei video amatoriali realizzati da chi l’ha vissuta e la vive in prima persona. Per questo, l’aspetto che più di tutti rivendica la sua fondamentale rilevanza è ancora una volta lo sguardo. Emotivo e struggente, lucido ed estremo, rivolto alla periferia dell’azione o incredibilmente vicino al suo centro come raccomandava Robert Capa molti anni fa, poco importa. Quello che deve arrivare è qualcosa in più rispetto a quanto già abbiamo visto e sappiamo, che ci porti più a fondo in quello che stiamo osservando.

Lo scatto vincitore del World Press Photo 2018, l’immagine del ragazzo in fuga avvolto dalle fiamme durante una protesta a Caracas, realizzata dal venezuelano Ronaldo Schemidt dell’agenzia AFP, è un’immagine di news classica. Scelta, a detta della giuria, perché altamente simbolica, perché l’uomo in fiamme “non rappresenta solo se stesso ma l’idea che sia un intero Paese, tutto il Venezuela, a bruciare.” Oltre la realtà, un’icona.

Si cercano sguardi che arrivino in profondità e al contempo vedano più lontano, variando la prospettiva. Da quest’anno, accanto alla categoria Natura, è presente la categoria Environment, le cui storie o scatti singoli documentano l’impatto umano sull’ambiente.
La fotografia premiata, For freedom di Neil Aldridge, ritrae un rinoceronte bianco sedato e bendato per poter essere liberato in sicurezza, in un luogo al riparo dai bracconieri. Un messaggio di speranza, che aiuta a riflettere senza insistere sugli aspetti più strazianti che di solito vengono evidenziati.

© Neil Aldridge, Waiting for Freedom

Si cercano angolazioni nuove, che esplorino con modalità diverse temi già ampiamente trattati. Come l’immagine di Giulio Di Sturco, More than a woman (secondo posto nella categoria Contemporary Issues) che mostra una donna al termine del processo che le ha consentito di cambiare sesso, subito dopo l’intervento chirurgico.

© Giulio Di Sturco, More than a Woman

Sempre più urgente, in generale, è la necessità di un’osservazione lenta e approfondita e l’interesse verso approcci più fluidi. Nella prossima edizione del Photo Contest, il premio “Story of the Year” affiancherà quello per la “Photo of the Year”. All’interno del Digital Storytelling Contest ci sarà un nuovo premio, “Online Video of the Year”.

Del resto, la categoria Long-Term Projects, introdotta alcuni anni fa, è sintomo di una tendenza in atto che dilata i tempi delle storie e favorisce l’indagine attenta (il lavoro deve essere realizzato in un periodo minimo di tre anni). In quest’ultima edizione è stata premiata l’olandese Karla Kogelman, che ha narrato la vita di due sorelline in un villaggio della campagna austriaca. La fotografa ha ripreso le bambine a partire dal 2012, raccontandone, attraverso il filtro distaccato del bianco e nero, la vita spensierata, seguendone la crescita con sguardo affettuoso ma discreto. Uno sguardo consapevole dell’esistenza di un confine.

© Carla Kogelman, Ich Bin Waldviertel

La testimonianza del divenire diventa denuncia quando riguarda realtà più ampie: Omo Change è un progetto che Fausto Podavini ha portato avanti dal 2011, che gli è valso il secondo premio nella medesima categoria. Documenta la controversa costruzione in Etiopia dell’imponente diga Gibe III, che ha modificato l’ecosistema della regione ed è stata definita dal fotografo “una riflessione su come grandi investimenti europei possano impattare sulla vita di antiche etnie”.

Capita poi che alcuni progetti siano così legati alla realtà che descrivono da riuscire ad influenzarla: Too Young to Wed di Stephanie Sinclair, è il lavoro di una vita, realizzato nell’arco di oltre 15 anni. Premiato diversi anni fa, protagonista della Sam Press Lecture di quest’anno, testimonia la tragica condizione delle spose bambine nel mondo ed è sfociato nella creazione dell’omonima ONG, che aiuta le ragazze a superare le loro drammatiche esperienze.

Nella frenesia di immagini che ci circondano, la lentezza reclama i suoi spazi e può trovare espressione anche in ambiti non strettamente legati all’attualità. Un esempio notevole, presentato durante un talk a Photolux, è il progetto Around the Walk, un “laboratorio errante” nato da un’idea di Pietro Vertamy e Ilaria Di Biagio, che documentano il paesaggio attraverso le immagini e la scrittura, percorrendo lunghe distanze a piedi, riscoprendo i territori sotto il segno della tradizione e della cultura. Un’indagine in modalità slow, un modo diverso di guardare la realtà, che permette di svelare dettagli e situazioni altrimenti non visibili.

© Ilaria Di Biagio, Lucania Walk in Progress

Ogni sguardo dietro l’obiettivo ci restituisce immagini diverse di una stessa realtà, ma se è vero che è a volte “è difficile individuare dove finisce lo sguardo e inizia l’immagine”, ossia il prodotto di questo sguardo, è anche vero che chi utilizza la fotografia come documentazione questo scarto dovrebbe averlo sempre davanti agli occhi.

 

7 dicembre 2018

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