Stephen Wilkes – “Day to night”. Dall’alba al tramonto, il tempo scorre in una fotografia

Londra, una coppia si abbraccia nel flusso di persone a Trafalgar Square, 2013.
di Daniela Mericio
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Ci sono luoghi che tutti conoscono, anche se non li hanno mai visitati. Immediatamente riconoscibili, resi familiari a chiunque dalle innumerevoli immagini pubblicate su libri, riviste, cartoline, sono luoghi simbolo del pianeta, classiche mete e destinazioni sognate, fortemente presenti nel nostro immaginario legato al viaggio: Notre Dame a Parigi, Venezia, il Grand Canyon, il Ponte di Brooklyn, la Piazza Rossa a Mosca, Trafalgar Square a Londra.

Nella serie Day to Night, l’americano Stephen Wilkes (New York, 1957) li ha fotografati, regalandoci immagini suggestive e spettacolari: panoramiche a perdita d’occhio, percorse da luci e ombre, rese simili a dipinti dalle intense sfumature di colore. A prima vista, potrebbero sembrare paesaggi immortalati in quelle preziose ore di transizione tra luce e oscurità amate da molti fotografi, in quello stile che mira a esaltare la bellezza di un gradevole panorama, ammantandolo di un irreale splendore. Osservando meglio, si scopre che qualcosa all’occhio non torna: stacchi di luce inspiegabilmente netti, la posizione del sole o della luna sull’orizzonte non sempre congruente con l’altra metà del cielo, la stessa persona è presente più volte nella fotografia: non è la registrazione indovinata di un “momento decisivo”, bensì la somma di molti “momenti magici” –  come li definisce il fotografo – una successione di scatti dello stesso luogo realizzati nel corso di un’intera giornata, in un arco temporale che va in media dalle 15 alle 30 ore, seguendo lo scorrere del tempo e della luce, e assemblati poi in un’unica, stupefacente, immagine finale.

Vestendosi di tenebre, lo stesso panorama, la stessa città, rivelano un volto diverso, antitetico. Le luci artificiali sostituiscono quelle naturali, i protagonisti mutano, i ritmi cambiano ma la prospettiva è la medesima e coglie la metamorfosi innescata dal trascorrere delle ore sulla natura, sul paesaggio urbano, sullo svolgimento delle umane attività. Stephen Wilkes ha voluto concentrare un’intera giornata in un’unica fotografia: ogni immagine finale, somma di molte altre, racchiude l’essenza di un luogo tra l’alba e il crepuscolo e ambisce a registrare una durata, ad essere la visualizzazione consapevole dello scorrere del tempo.

Grand Canyon, il popolare South Rim visto dalla torre di osservazione Desert View, alta oltre 21 metri. Arizona, 2015. “Ho dormito in cima alla torre e ho scattato per 36 ore. Non c’era nessuna luce esterna, quindi ho dovuto aspettare che la luna illuminasse il canyon. Avevo a disposizione solo un’ora di esposizione per ottenere un buon risultato”.

La realizzazione di una fotografia è decisamente impegnativa. Wilkes, che si definisce uno street photographer da 15 metri di altezza, sceglie una postazione sopraelevata (di solito una gru a cestello, se sul luogo non ci sono piattaforme adatte) in grado di offrire una visuale ampia e soddisfacente: dopo aver selezionato l’inquadratura, fotografa dalla medesima posizione un’identica porzione di realtà ad intervalli regolari di tempo, senza mai spostare la macchina, realizzando all’incirca 1500 scatti nell’arco della giornata. Da questi, poi, ne seleziona una cinquantina che andranno a comporre l’immagine finale, ottenuta attraverso un meticoloso e magistrale lavoro di postproduzione che fonde digitalmente le fotografie. Anche la fase di assemblaggio è un’impresa titanica e può richiedere fino a 4 mesi per arrivare al risultato definitivo: si compone di infiniti tentativi e prove, e non solo con l’ausilio della tecnologia e di Photoshop, perché Wilkes stampa le immagini, le confronta e le affianca fisicamente, per valutare colori e tonalità, per verificare con precisione le fasi di transizione tra il giorno e la notte, per scoprire a posteriori dettagli inaspettati.

Già, perché nonostante la fase di scatto si svolga in modo programmato e puntuale, i fattori di imprevedibilità sono numerosi, a partire da quello meteorologico. Soprattutto, non è prevedibile quello che accadrà sulla scena prescelta nell’avvicendarsi delle ore e che sarà registrato dalla macchina fotografica; non si può prefigurare che direzione prenderà il volo delle gru in una riserva naturale (Rowe Sanctuary, Nebraska), quanto velocemente sfrecceranno i taxi a Times Square, New York, ciò che faranno i turisti in contemplazione del Grand Canyon, se i surfisti sulla spiaggia di Rio verranno travolti dalle onde, chi coglierà i fiori in un campo di tulipani olandese o se individui in costume d’epoca faranno la loro inaspettata comparsa a Stonehenge.

I gondolieri sfilano sul Canal Grande (costumi e imbarcazioni nello stile del XVI secolo) per l’annuale Regata Storica di Venezia, 2015.

Infinite scene e situazioni, non necessariamente collegate l’una all’altra, sono rintracciabili in ogni immagine di Day To Night: ognuna di esse è come un quadro fiammingo da osservare in ogni dettaglio (non a caso, Wilkes annovera tra le sue fonti di ispirazione Peter Bruegel e il suo dipinto La mietitura, 1565). Per questa traboccante ricchezza di particolari, le fotografie della serie si apprezzano soprattutto se visualizzate in grandi dimensioni – esposte in mostra o nell’imponente volume omonimo edito da Taschen (2019) in cui sono raccolte 60 immagini della serie, scattate nel corso di 10 anni. Ossia, a partire dal 2009, quando Wilkes fotografò la Highline (il percorso newyorkese sopraelevato che corre lungo una ferrovia in disuso) per il New York Magazine e, non sapendo decidere se ne preferiva il volto diurno o notturno, inaugurò la tecnica Day to Night, che permetteva di cogliere entrambi.

Il seme di questa idea, tuttavia, era stato piantato nel 1996,  prima ancora che Photoshop e il digitale divenissero di uso comune. Incaricato dalla rivista Life di fotografare il set del film Romeo + Juliet di Baz Luhrmann e non riuscendo a rendere lo spazio quadrato del set con una panoramica, realizzò 250 scatti e li unì mediante collage, ottenendo un suggestivo fotomontaggio in cui coesistevano non solo differenti porzioni della scena, ma anche momenti temporali diversi.

Wilkes è uno storyteller, le sue fotografie narrano infinite storie, tutte realmente accadute e tuttavia con un finale aperto; offrono innumerevoli spunti, sono l’invito a intraprendere un viaggio alla scoperta di tanti piccoli mondi. Anche e soprattutto quando il soggetto è un evento “storico” o che ha un importante significato simbolico per una comunità: l’insediamento presidenziale di Obama nel 2013, il Palio di Siena, la Regata storica di Venezia, la Coppa America a San Francisco (anch’essa fotografata dalle prime luci all’imbrunire, dalla cima di un faro sull’isola di Alcatraz), la Messa pasquale celebrata da Papa Francesco a San Pietro (nell’immagine finale Sua Santità compare una decina di volte, in diverse fasi della cerimonia, creando una vera e propria sequenza narrativa).

Parco nazionale del Serengeti, Tanzania, 2015. “Ho trascorso 26 ore in una tana di coccodrilli, durante un periodo di siccità. Tutte queste specie condividevano una pozza d’acqua e non hanno mai emesso nemmeno un grugnito l’una contro l’altra. Sembravano capire l’atto della condivisione”.

Wilkes ha fotografato – sovente per il National Geographic – anche luoghi di naturale e incontaminata bellezza: in Canada, le valli della British Columbia popolate da orsi e le orche a Robson Bay, colonie di uccelli marini sull’Isola scozzese di Bass Rock e alle Falkland, il Parco Serengeti in Tanzania. Ogni fotografia della serie Day to Night è costruita sul “vettore tempo”, il dispiegarsi della giornata e il cammino della luce su una superficie bidimensionale, quella di una fotografia; un vettore malleabile come un tessuto, che può seguire una direzione orizzontale, verticale, perfino diagonale a seconda di dove l’autore ritiene più conveniente porre l’inizio e la fine del giorno sull’immagine finale.

L’approccio di Stephen Wilkes, per quanto scenografico e spettacolare, ha un aspetto fortemente contemplativo. Richiede dedizione, pazienza, capacità di osservazione e concentrazione. Esaminare e fotografare uno stesso luogo per un tempo prolungato, registrandone la metamorfosi e il mutare dei dettagli, “può essere considerata una forma di meditazione” sostiene Wilkes, che definisce l’attitudine a guardare le cose in profondità “un’esperienza umana in via di estinzione”. Ribadisce il concetto nella didascalia che accompagna l’immagine della basilica del Sacro Cuore a Parigi, ai cui piedi, sulla collina di Montmartre, si accalca una folla di turisti muniti di telefonino e intenti a scattare selfie: “Mentre fotografavo il Sacré-Coeur, mi sono accorto che tutte queste persone non guardavano affatto il monumento. L’atto di condividere un’esperienza è diventato più importante dell’esperienza stessa”.

 

Immagini: © 2019 Stephen Wilkes

 


Il libro:
Stephen Wilkes, Lyle Rexer
Day to night
Taschen, 2019

 

 

 

29 marzo 2021

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