Soliera, “un paese ci vuole”. Una storia di sguardi, incontri e ritorni

© TerraProject
di Dario Orlandi
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Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via.
Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante,
nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.
(Cesare Pavese, La luna e i falò)

Uno. “Un paese ci vuole”, ci accoglie, ci ascolta.

Il paese ascolta la voce di dieci stranieri approdati in una cittadina della Bassa modenese per raccontare le loro storie. Dieci tessere nel mosaico della realtà, per ricordare che non esiste un mondo, ne esistono infiniti quanti sono i racconti; e che nella sintesi di sguardi irripetibili risiede il senso di essere comunità. Il paese accoglie la moltitudine delle immagini, in esse si specchia, le integra e le rinsalda; fiorisce nell’intreccio delle sue narrazioni. Guardare per riscoprire.

© Luana Rigolli

Due. “Un paese ci vuole”, ci chiama, ci reclama.

Il paese ferito chiede di ritrovarsi dopo una dolorosa caduta, di riscoprirsi comunità. Gli stranieri sono un dono prezioso in questa operazione di rammendo: il normale diventa speciale negli occhi di chi osserva senza pregiudizio o assuefazione. È lo stupore originario del bambino che prosegue negli adulti e che la fotografia conferma con la sua natura paradossale di oggetto soggettivo: esplorare il dentro per ricostruire il fuori. Guardare per ritornare.

© Mattia Panunzio

Tre. “Un paese ci vuole”, ci vuole un paese.

È necessario, un paese; urge quell’appartenenza che Pavese rivendicava nel 1950 con la forza dell’iperbato e che due anni dopo mosse Zavattini e Strand nella ricerca di (non su) Luzzara, del senso di comunità di un mondo in repentina e irreversibile trasformazione. Lo stesso anelito che ha guidato i dieci stranieri nella stesura delle loro note: fare di quel paese un emblema del bisogno di comunità che dà origine all’essere umano. Guardare per essere.

© Simone Mizzotti

Un paese ci vuole. Fotografie tra luoghi e persone del nostro territorio” è un’esplorazione collettiva di Samantha Azzani, Cosimo Calabrese, Alessandra Carosi, Umberto Coa, Nicola Dipierro, Karim El Maktafi, Simone Mizzotti, Mattia Panunzio, Luana Rigolli, Irene Tondelli sul paese di Soliera (Modena), pesantemente colpito dal terremoto del 2012.

Simone Donati e Rocco Rorandelli hanno coordinato il progetto, Giovanna Calvenzi lo ha raccontato, la Fondazione Campori lo ha promosso.
Le 100 immagini, realizzate nell’estate del 2019 dai fotografi durante la loro permanenza in paese, saranno esposte presso il Castello Campori, a Soliera, fino al 5 marzo 2020.

 

24 gennaio 2020

 

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