Ukranian Diary: la retrospettiva di Boris Mikhaïlov alla MEP

di Luca Sorbo
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Le immagini di Boris Mikhaïlov sono punte di spillo negli occhi. Sono a un tempo brutali e raffinate, respingono e attraggono. La profonda umanità che le caratterizza ci sovrasta, ci obbliga a chiederci come e perché sono nate. In esse avvertiamo una sapienza, un’ironia che ci trascina in una dimensione intellettuale dove ci troviamo senza difese. Una ribellione alla bella immagine che, attraverso un’estetica dell’imprecisione e l’utilizzo di materiale di scarsa qualità, ci rivela una realtà autentica. Il fotografico emerge con una immediatezza e una forza rare.

Al centro di molti dei lavori di Mikhaïlov la denuncia della condizione di spaesamento e di povertà che in moltissimi hanno vissuto durante e dopo la dissoluzione dell’impero sovietico, filtrata da una potente empatia nei confronti dei soggetti ripresi. 

“Li ho seguiti per capire come vivevano, come si comportavano, come sopravvivevano, come lottavano per vivere. Ne ho inseguiti alcuni, pagandoli, perché posassero. Potevo essere paragonato ad un gatto che studia scrupolosamente e con insistenza la propria preda prima di afferrarla” – racconta Mikhaïlov, lasciandoci immergere nel suo modo di operare che ha trovato forma in una delle sue serie più note, Case History.

Dalla serie “Case History”, 1997-98 © Boris Mikhaïlov, VG Bild-Kunst, Bonn. Collezione privata

Tutto diventa ancora più drammatico oggi che Kharkiv, la città natale di Mikhaïlov, è teatro della guerra tra l’Ucraina e la Russia. La dissoluzione e la miseria che mostrano le sue immagini sono lo sfondo sociale e culturale su cui il conflitto attuale si innesta. La curatrice della mostra, Laurie Hurwitz, racconta che molti degli edifici presenti nelle fotografie non sono più esistenti, distrutti dai bombardamenti russi.

Nato nel 1938, Mikhaïlov si laurea in ingegneria. Appassionato di fotografia, negli anni Sessanta fotografa la moglie nuda, e scoperto dal KGB viene licenziato dall’azienda dove lavora. Da quel momento prova a sopravvivere lavorando come fotografo. Comincia a sperimentare le potenzialità del linguaggio visivo e comincia a documentare la vita quotidiana con l’uso di materiale B\N. Impara a guardare, comprendere e documentare le difficoltà della gente comune, in una pratica vietata al tempo, con il regime sovietico che imponeva di fotografare soltanto gli eventi ufficiali e le situazioni “positive”. Il gusto dell’errore e la posizione sempre in direzione contraria al pensiero dominante caratterizzeranno tutto il suo percorso di ricerca visiva.

Tra le ricerche più riuscite, segnaliamo RED dove nel documentare manifestazioni ed eventi emerge come colore dominante il rosso, che per gli ex sovietici è il colore della rivoluzione, ma anche quello degli accadimenti lieti. Mikhaïlov rivela qui una notevole capacità di leggere la gestualità delle persone e il loro porsi all’interno dello spazio.

Dalla serie “Red”, 1968-75 © Boris Mikhaïlov, VG Bild-Kunst, Bonn. Tate: Acquis avec l’aide du Art Fund (avec la contribution de la Wolfson Foundation) et Konstantin Grigorishin 2011

Viscidity, del 1982, è un fotografare la realtà grigia e anonima delle persone mettendola in relazione con testi che non descrivono le immagini, ma da esse sono “provocati”. La serie Salt Lake del 1986, dove le stampe sono virate seppia, mostrano le vacanze serene nella regione del Donbassm teatro oggi degli scontri più duri della guerra.

Dalla serie “Viscidity”, 1982 © Boris Mikhaïlov, VG Bild- Kunst, Bonn. Collezione privata

La serie Luriki, realizzata tra il 1971 e il 1975, è costituita da fotografie in posa colorate in modo sgargiante, con un intervento che ne muta completamente il significato originale. By the ground del 1991 è una serie di stampe virate seppia realizzate con una fotocamera panoramica che torna a riflettere sulle tragiche condizioni di vita degli individui all’indomani della dissoluzione dell’Unione Sovietica.

Dalla serie “Luriki” (Colored Soviet Portrait), 1971-85 © Boris Mikhaïlov, Collezione Pinault – Courtesy Guido Costa Projects, Orlando Photo

At Dusk del 1993 insiste sulla miseria e sulla disperazione, questa volta con stampe di grande formato virate blu e realizzate ancora con una fotocamera panoramica. I am not I raccoglie  autoritratti ironici dove il fotografo si mostra nudo come un antieroe, in un’iconografia opposta a quella in auge nell’ex impero sovietico.

Dalla serie “At Dusk”, 1993 © Boris Mikhaïlov, VG Bild-Kunst, Bonn – Courtesy Galerie Suzanne Tarasiève, Parigi

Case History del 1997-98 è un fotografare, con pellicola a colori, individui in uno stato di grave disagio. Mikhaïlov paga i soggetti ritratti, contribuendo in qualche modo ad aiutarli nella lotta quotidiana per la sopravvivenza. Si tratta di immagini di profonda umanità.

La ricerca visiva di Mikhaïlov continua fino ai giorni nostri, confrontandosi con le problematiche attuali della guerra e del potere politico. Il complesso del suo percorso artistico è un mostrare l’essere umano nelle sue fragilità e debolezze, in contrapposizione alle ideologie che lo vogliono forte e sicuro. Un lavoro sulle cicatrici della vita, sul nostro essere in balia del destino che travolge tutte le nostre sicurezze.

Dalla serie “The Theater of War, Second Act, Time Out”, 2013 © Boris Mikhaïlov, VG Bild-Kunst, Bonn. Collezione Akademie der Künste, Berlino

La imponente retrospettiva che la Maison Européenne de la Photographie di Parigi dedica al fotografo ucraino raccoglie oltre 800 opere. La mostra – visitabile fino al 15 gennaio 2023 –  e il catalogo, molto corposo, che ne è derivato rappresentano un’occasione unica per comprendere la genesi e l’evoluzione di uno dei talenti visivi più celebrati e ammirati degli ultimi decenni.  

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