di Dario Orlandi
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Maldestramente occultato, stigmatizzato, idolatrato, il porno è una realtà florida e in continua espansione della società dello spettacolo. La malcelata pervasività del sesso e la sua trasformazione in prodotto commerciale e mediale sono una delle manifestazioni più significative dell’espansione del mercato in ogni meandro, anche quelli più reconditi e socialmente protetti.
Stefano De Luigi è stato presenza discreta sui set di una moltitudine di video hard – da Tokyo a Los Angeles, da Budapest a Berlino – e ha raccolto il suo lavoro in Pornoland, edito da Contrasto nel 2004 con un ammiccante testo centrale di Martin Amis.
Nel libro il fotografo si muove sul confine della rappresentazione cinematografica, svelando la realtà macchinosa della messa in scena e soffermandosi su inusuali aspetti personali dei protagonisti. Immagini del dietro-le-quinte si alternano a preparativi e pause; le scene d’azione – dilatate e dichiarate – perdono della sacralità voyeuristica del tabù per manifestarsi nella prosaicità del reale.
Ma come fotografare il porno senza cadere nell’osceno, realizzando un lavoro al riparo dalla censura, risultando addirittura eleganti? Lo sguardo del fotografo varia fra il giocoso e l’empatico, mostrandosi talvolta divertito, altre volte attento ad aspetti umani rivelatori di biografie più complesse del cliché dell’operatore del piacere fine a sé stesso. Individua situazioni grottesche, improbabili scenografie che, svincolate dalla trama del racconto, si manifestano nella loro surrealtà: mise bizzarre, drappeggi sgargianti, attrezzature erotiche dislocate in contesti ordinari elevati a teatro di improvvise abbuffate amorose.
Altre volte lo sguardo ricerca l’umanità nella carambola dell’amore posticcio: una coppia di attori che si abbraccia teneramente al termine dell’amplesso professionale, una conversazione disinvoltamente nuda al margine del set, un’attrice che allatta durante un intervallo delle riprese.
L’apice della maestria di De Luigi si esplica nelle immagini che descrivono scene di sesso, dove il fotografo ricorre a divertenti artifici per rendere presentabile, addirittura poetico, l’impresentabile: provvidenziali oggetti in primo piano diventano quinte per le zone più scivolose dei corpi intrecciati, sagome di piedi che disegnano ammiccanti silhouette contro l’azzurro del cielo, volti arcuati dalla mimica del piacere che si affacciano pudicamente dalle periferie dell’inquadratura, lasciando intendere l’indicibile.
De Luigi si serve del colore con inusuale astuzia e talento: abile surfista delle dominanti cromatiche, il fotografo non teme il verde del neon o l’azzurro dei led. Cerca ed esaspera campiture di colore – riprese opportunamente dalla gustosa grafica del libro – che fanno da sfondo kitsch a grossolane sceneggiature dall’esito scontato.
Il mosso, infine, potente evocatore della vorticosità degli amplessi e abile espediente di camouflage, consente al fotografo un realismo e una prossimità altrimenti impossibili senza rischiare di cadere al vaglio della censura.
Nel suo lavoro, Stefano De Luigi sviluppa un racconto ampio e divertito di un importante fenomeno del costume contemporaneo. De-sacralizza il pornografico, lo rivela nella sua normale fragilità, ridimensionando la fascinazione ancestrale verso il proibito.
Pornoland racconta di persone dietro ai cliché, restituendo re e regine denudati dal copione del nudo.
Il libro:
Stefano De Luigi
Pornoland
Contrasto, 2004
La serie completa è visibile sul sito web di Stefano De Luigi.
Fotografie: © Stefano De Luigi
10 novembre 2020