di Beatrice Bruni
_
Photolux ha da sempre una vocazione sociale che si esplica nella realizzazione di progetti di sviluppo delle arti visive.
Il progetto “Scatta la notizia” ha visto protagonisti gli studenti di due scuole superiori, nel territorio napoletano, coadiuvati da due docenti di eccezione. Per due anni infatti Photolux, con il supporto di Canon Italia e la collaborazione di Neapolis.Art, ha portato due grandi fotografi, entrambi vincitori del World Press Photo, ad accompagnare i ragazzi nel mondo della comunicazione visiva.
Abbiamo intervistato Pietro Masturzo, tutor del primo laboratorio “Scatta la notizia”, che si è tenuto all’I.S.I.S. Rosario Livatino di San Giovanni a Teduccio, istituto superiore nella zona di Napoli, e Antonio Gibotta, tutor nel secondo anno, presso l’Istituto Superiore Francesco Morano di Caivano, sempre in provincia di Napoli. Il lavoro dei ragazzi con Antonio è stato restituito in una mostra, durante Photolux Festival 2018, a Palazzo Ducale a Lucca.
Ecco cosa ci hanno raccontato i due fotografi.
Quali sono stati i consigli e gli insegnamenti che hai rivolto ai ragazzi per il lavoro fotografico prodotto sotto la tua guida?
P: Inizialmente mi sono soffermato sugli aspetti tecnici di base e sull’utilizzo della reflex, ma dando soltanto le nozioni fondamentali, poiché non era quello né il tempo né il luogo di approfondire tali questioni. Mi interessava molto di più infatti, fin dall’inizio, insegnare un uso critico del mezzo, al fine di raccontare qualcosa. Questo mi premeva molto poiché i ragazzi dovevano raccontare i loro luoghi.
A: I miei workshop iniziano sempre con una premessa, metto sempre le mani avanti dicendo che non ho la presunzione di insegnare niente a nessuno. L’approccio con questi studenti non è stato molto diverso; mi sono semplicemente affiancato a loro per cercare innanzitutto di metterli a loro agio e ho spiegato l’importanza della luce, condizione fondamentale per una buona fotografia. Ho cercato poi di far capire quanto sia importante un impatto non invasivo con la scena che si va a riprendere. Un fotogiornalista deve essere discreto, quasi invisibile, però, allo stesso tempo, tenace e determinato.
Quale ritieni sia il significato del raccontare i propri luoghi, il territorio per un gruppo di studenti delle scuole superiori, soprattutto in questo caso, in cui il disagio sociale è più percepibile che altrove? Puoi individuare una missione del progetto?
P: Volevo che i ragazzi capissero quanto è importante raccontare il proprio luogo di appartenenza, un luogo abusato, e che riuscissero a riappropriarsene e a restituirgli dignità, poiché spesso viene raccontato solo per le sue brutture sociali. Li ho invitati a guardare, non solo a vedere. Ho chiesto di individuare i loro veri interessi, di porsi delle domande e di trasmetterle attraverso la fotografia. Alcuni si sono concentrati sui luoghi, altri sulle persone che li vivono, altri sul degrado, ma tutti hanno colto in pieno lo spirito con cui li avevo invitati a fotografare.
A: Raccontare un territorio difficile come quello tristemente noto come ‘Terra dei fuochi’ è un compito delicato. Si rischia di cadere nello scontato, nella banalità e nel patetico. L’intento però, stavolta, era quello di raccontare una realtà diversa. Il messaggio che abbiamo cercato di trasmettere è un messaggio di speranza. Spero di essere riuscito ad infondere a questi giovani studenti, insieme alla passione per la fotografia, anche la voglia di riscattarsi e di raccontare la loro terra in maniera diversa da quello che purtroppo siamo abituati a leggere.
Cosa suggeriresti adesso ai ragazzi che hai accompagnato nell’esperienza di “Scatta la notizia”? Come renderla ulteriormente proficua in futuro? Sono nate nuove giovani leve nel mondo del fotogiornalismo?
P: Questa esperienza, nei risultati, è andata oltre ogni mia aspettativa. Dopo un editing svolto in classe, e un ulteriore editing da me effettuato per uniformare il lavoro, abbiamo prodotto una mostra, che è stata ovviamente ospitata anche a Lucca [nel corso della Biennale 2017]. Mi piacerebbe che questo lavoro non si esaurisse qui, per il quartiere e per i ragazzi, e vorrei poter fare una piccola pubblicazione, a memoria di ciò che è stato. Non so se qualcuno dei partecipanti diventerà fotografo, ma spero di aver lasciato almeno un seme in ognuno di loro. Sono belle le emozioni che lasciano esperienze come questa: sento la felicità di aver fatto qualcosa di buono, di essere stato utile. Ciò al di là del fatto che il laboratorio abbia portato a conoscenze professionalizzanti. Desidero che in loro resti l’idea che la fotografia può essere un diario, da usare come si vuole, che ne abbiano capito l’importanza come metodo di comprensione della realtà. Photolux e Canon Italia hanno il grande merito di essere stati portatori di cultura fotografica sui banchi di scuola. Concludo con l’augurio a Photolux di continuare a insistere in questo nobile tentativo, e nel perseguire sempre l’insegnamento della cultura visiva nutrendo le giovani menti.
A: Tra gli studenti ce ne erano alcuni particolarmente inclini a utilizzare la fotografia come mezzo di espressione. I loro scatti si distinguevano per l’ottima composizione. Spero che questa esperienza non resti un caso isolato e che in qualcuno di loro questa meravigliosa passione trovi terreno fertile.
7 dicembre 2018