di Luca Sorbo
Angelo Raffaele Turetta è un artista a tutto tondo, con una conoscenza approfondita della storia dell’arte. Ha vissuto intensamente le tensioni artistiche degli anni Settanta del Novecento ed ha trovato nella fotografia il suo linguaggio espressivo privilegiato. Fotogiornalismo e cinema sono stati i settori in cui ha lavorato con maggior impegno, ma è sempre riuscito ad esprimere in ogni situazione uno stile originale. La metafisica è stata un suo riferimento costante. Si è sempre posto nei confronti del reale in modo problematico, cercando di togliere la spiegazione all’accadimento, ottenendo un effetto di spaesamento.
La sua è un’esperienza autoriale e professionale di oltre 50 anni che ha affrontato con leggerezza e talento.
1)Come è nato il tuo interesse per la fotografia?
Mi sono sempre occupato di fotografia fin dall’adolescenza. Mia madre era una pittrice e cresciuto in un ambiente creativo. Ho sempre vissuto la passione per le immagini. In famiglia e con gli amici realizzavo molte fotografie. Quando mi sono iscritto all’Accademia di Belle Arti di Roma ho studiato con Toti Scialoja, pittore e poeta, che mi ha influenzato molto. Ho approfondito le tematiche del linguaggio fotografico con Vittorio Ugo Contini che aveva un insegnamento a scelta. Mi sono diplomato nel ’77, un anno pieno di tensioni e cambiamenti. Frequentavo amici pittori, conosciuti all’Accademia, che formavano quella che è stata definita la Scuola Romana del Pastificio. Un mio punto di riferimento è stato sicuramente Tano D’Amico, un grande autore che ha saputo unire l’impegno politico ad una visione poetica, piena di pregi anche formali. La mia formazione quindi è nata dall’incontro delle suggestioni familiari, dalle tensioni sociali e dalle amicizie vissute in Accademia.
2)Roma è la città in cui vivi ed in cui ti sei formato. Quali sono state le tue prime esperienze lavorative importanti?
Le mie prime esperienze lavorative sono state con il teatro d’avanguardia. Ricordo Magazzini Criminali, La Gaia Scienza, Leo e Perla, Raimondi e Caporossi. Allora ho anche conosciuto Mario Martone e Tony Servillo. È stato un periodo molto intenso dove oltre a lavorare ho stretto anche amicizie con artisti che poi avrei ritrovato nella mia futura attività di fotografo di scena.

3)Il tuo guardare è denso di umanità ed attento alle smarginature del reale. Come queste caratteristiche hanno influenzato il tuo lavoro di lavoro di fotografo?
Il mio approccio con la realtà è stato profondamento influenzato dagli insegnamenti dei mie docenti all’Accademia di Belle Arti ed in particolare di Toti Scialoja. Ho amato molto l’Action Painting, la Pop Art, De Kooning, Pollok, Donghi, De Chirico. Ho cominciato a dipingere, anche se poi, ho trovato nelle impronte di luce il mio linguaggio preferito, però nella fotografia ho cercato di portare tutte le suggestioni che avevo vissuto attraverso la pittura. Ho cercato di riproporre le atmosfere della Metafisica e del Realismo Magico.
4)Come concili questo interesse per la pittura e la ricerca visiva con il tuo percorso di reporter con l’Agenzia Contrasto?
Ho avviato la mia collaborazione con L’Agenzia Contrasto nel 1982, eravamo in tre, Roberto Kock, Fabio Ponzio ed io. Ho cominciato a seguire alcuni personaggi della cultura italiana ed estera. Nelle mie foto di reportage ho sempre cercato di sabotare il reale, la fotografia non deve mai cercare di raccontare, ma di interpretare, cercando il confine sottile tra realtà ed immaginario. Mi ispiravo a Otto Dix e George Grosz e volevo rappresentare la borghesia con quello stile sarcastico e dissacrante. Ero molto interessato alle inchieste. Non facevo cronaca, ma reportage di approfondimento. Ho lavorato molto sull’agro aversano dopo l’uccisione di don Peppino Diana. Avevo un amico a Casaluce che mi faceva da guida e mi consentiva di conoscere la realtà dall’interno. Ad un matrimonio di un boss ho anche rischiato grosso. Mi hanno fatto capire che era meglio che andavo via. Un altro lavoro che ho seguito molto è quello sui travestiti. Non ho mai amato i commissionati, perché sono molto lento ed ho paura di non riuscire a rispettare i tempi. La città di Roma è un altro dei miei soggetti ricorrenti. In particolare ho fotografato le feste della ricca borghesia con tutte le sue contraddizioni.

5)Come e perché hai cominciato a lavorare nel cinema come fotografo di scena?
Ho cominciato per una casualità. Stavo lavorando con Pier Vittorio Tondelli per l’Espresso su dei giovani scrittori. Attraverso questo reportage conobbi a Roma Claudio Camarca, con cui nacque una forte affinità. Cominciammo a lavorare su Roma e vendevamo dei servizi fotografici con testi insieme. Paolo si occupava anche di cinema e scriveva per Claudio Caligari. Un giorno mi contatta e mi dice che gli avevano proposto di curare la regia di un film che aveva scritto, perché Caligari non voleva farlo e mi chiede di collaborare. Nonostante non avesse un’esperienza nel cinema, con l’aiuto di un bravo direttore della fotografia, riesce a portare a termine il film ed io mi occupo delle foto di scena. Per chi ha esperienza di fotogiornalismo fare foto durante un film è molto semplice da un punto di vista tecnico. Il difficile è riuscire a produrre immagini che abbiano uno stile ed una originalità.

6)Come sei riuscito, quindi, a trovare un tuo stile come fotografo di scena?
Il cinema è sempre una costruzione del reale, anche quando vuole essere documentario. Io ho cercato di portare in queste situazioni il mio mestiere di fotogiornalista, in cui cercavo di trovare nel reale delle situazioni fiction. In questo corto circuito tra reale ed immaginario ho individuato una mia possibile visione. Ho lavorato ad almeno 80 film e la collaborazione che ricordo con più piacere è quella con Marco Tullio Giordana di cui sono stato il fotografo di tutti i film. Anche Emanuele Crialese è un regista con cui ho lavorato molto bene. Il cinema non è un’ambiente facile, contano molto i rapporti personali. Ultimamente vedo un forte decadimento culturale in tutti i campi ed anche il cinema, in molti casi, è diventato solo intrattenimento. Un esempio positivo è stata la scuola del teatro di avanguardia di Napoli che sono passati al cinema lavorando con grande qualità, da Martone a Servillo a Cesare Accetta e Pasquale Mari.

7)Hai dichiarato che non ami la ritrattistica, che è il genere fotografico più diffuso. Come spieghi questa tua difficoltà?
Non è che io non amo la ritrattistica è che non sono capace di fare dei ritratti in posa. Sono una persona timida e se mi devo interfacciare con qualcuno chiedendogli di assumere delle pose ho grosse difficoltà. Quando il budget del film lo permette lavoro con un collega, Fabio Lovino, che invece è molto bravo in questo. Io ho bisogno di molto tempo, non riesco in poco tempo ad avere questa complicità con il soggetto.
8)Hai dichiarato che con la fotografia vuoi sabotare il reale. Cosa significa?
Significa che voglio togliere la spiegazione dall’accadimento. Come raccontavo prima la mia formazione è legata alla metafisica e quindi cerco sempre nelle mie riprese di creare un effetto di spaesamento. Cerco di togliere la causa da un effetto, obbligando lo spettatore a trovare spiegazioni alternative.

9)Che ruolo ha nel tuo fotografare la casualità e la sperimentazione?
Io non sono un tecnico, non ho mai cercato di realizzare immagini impeccabili, ho sempre cercato le possibilità creative dell’errore. La tecnica va conosciuta e poi sfidata continuamente per ottenere risultati originali. Io mi lascio trascinare dall’imperfezione, perché questo mi consente di ottenere soluzioni nuove. La sperimentazione per me è fondamentale.
10)Hai qualche aneddoto che hai piacere di raccontare?
Nel cinema ci sono molte figure che sono molto interessanti. Parlo degli attrezzisti, elettricisti che, a volte, hanno una vis comica superiore agli attori. Hanno sempre dei soprannomi curiosi e conoscono storie del cinema particolarissime. Una volta ho conosciuto un elettricista che aveva lavorato con Francis Ford Coppola ad Apocalipse Now e mi ha raccontato momenti della lavorazione del film davvero incredibili. Sono grandi artigiani che hanno lavorato ad alcune delle stagioni più importanti che cinema italiano, ma che ormai sono molto anziani quando non ci saranno più perderemo la memoria di storie importanti.

11) Stai lavorando ad una tua ricerca visiva?
Per la mia ricerca visiva continuo a lavorare in pellicola in BN. Lavoro continuamente sulla città di Roma. Cerco sempre di sabotare il reale. La camera oscura è il luogo dove continua la mia sperimentazione. Io ho cominciato a stampare da adolescente e sono sempre legato alla magia delle impronte di luce. La stampa è l’elaborazione finale di una tua visione.

12)Come gestisci il tuo archivio?
Purtroppo molto del mio lavoro è analogico ed ho poco materiale digitalizzato. Ho, ovviamente i contatti di tutto, ma dovrei organizzarmi per le scansioni. Non è semplice trovare il tempo per digitalizzare i negativi, è un’operazione che richiede molto tempo. Dovrei trovare una collaborazione con qualche istituzione di beni culturali che mi aiuti in questa operazione. Io riesco a trovare tutto e ricordo ogni particolare, ma sicuramente dovrei renderlo fruibile anche per altri. Gli archivi sono un grande problema ed è necessario l’impegno del pubblico, perché i singoli fotografi non hanno né il tempo né la possibilità per gestire i loro archivi.
13)Cosa è oggi per te la fotografia con le possibilità della manipolazione digitale e l’intelligenza artificiale? Cosa sarà in futuro?
Una domanda molto impegnativa. Io credo che con la tecnologia bisogna farci i conti, non serve a nulla ignorala o demonizzarla. Devo dire che per il colore il digitale è straordinario, perché mi consente di lavorare in condizioni di luce molto difficili e poi mi consente un controllo del colore che prima era impossibile. L’intelligenza artificiale è una nuova frontiera che dobbiamo conoscere. È inutile combatterla, la dobbiamo dominare con la nostra cultura visiva.
14)Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Vorrei continuare a fotografare e potermi dedicare alle mie ricerche. Conoscendo i grandi fotografi, non mi sono mai considerato degno di pubblicare dei libri, ma forse oggi dovrei pensare ad una pubblicazione che possa dare conto del mio percorso professionale e della mia ricerca visiva.