Roberto Boccaccino – “Truth or Consequences”: una storia d’amore, tradimento e toponomastica

di Chiara Ruberti
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E poi la nostra meravigliosa toponomastica
Offlaga Disco Pax, Robespierre, 2005

 

Gli Offlaga Disco Pax nel loro capolavoro Socialismo tascabile hanno fatto della toponomastica di Cavriago (piccolo centro in provincia di Reggio Emilia, che ha dato i natali, tra gli altri, a Orietta Berti) un’ode al comunismo e alla sua memoria. Per parte mia, ho sempre avuto una passione – spesso incompresa – per la toponomastica. Anche all’università, quanto erano belli i toponimi del Medioevo? A un certo punto poi avevo cominciato ad appuntare quelli più divertenti che incontravo durante i miei viaggi. Un giorno di primavera, mentre andavo a un matrimonio in provincia di Ascoli Piceno, ecco pararmisi di fronte il cartello che annunciava l’ingresso in località “Fava Lanciata”. Lì, con quel toponimo – definitivo – la lista, felice, si è chiusa.

Ho acquistato Truth or Consequences di Roberto Boccaccino (Skinnerboox, 2020) in pre-order, all’inizio della pandemia. E me lo sono letto – e guardato, perché non si tratta di parole, ma di immagini di parole – d’un fiato in macchina, aspettando figlio e marito che si attardavano nel cortile dell’asilo, all’uscita. E ho riso. In piena pandemia, un toccasana.

Una storia d’amore e di tradimento.
Lei,  “Sola | depressa | mangio | patate | nella | nostra | casa”.
L’altra, americana, “Remember | love | fully | packed | of | many | dangers”.
Lui,  “Cambio | vita | faccio | monaco”.
Il tutto, intorno al mondo.

Ogni frase è un viaggio lungo migliaia di chilometri, che attraversa il globo guardandolo da uno schermo e percorrendolo sulle mappe di Google.

Luigi Ghirri nel 1974 ha fotografato le pagine di un atlante, nel primo dei suo “viaggi minimi”.
In questo anno strano, anche noi abbiamo navigato l’internet cercando di placare quel bisogno inappagabile di essere altrove.
@toponimia e @sadtopographies sono due account Instagram che collezionano toponimi stravaganti su Google Maps. Il primo si aggancia al quotidiano, alla cronaca e all’attualità per percorrere l’Italia alla ricerca di città, paesi e località dai nomi strani; il secondo, scova e accumula toponimi in giro per il mondo che raccontano di una desolante tristezza.
Ma le storie qui, se vogliamo, dobbiamo inventarle da soli.

Invece Boccaccino, su quelle mappe cerca e trova una storia, una delle infinite possibili. Attingendo a un vocabolario limitato, lacunoso, improbabile, per di più predisposto per un diverso scopo, costruisce un racconto. Unico. Irripetibile. Mettendo in discussione e spingendo al limite un dispositivo che diamo, costantemente, per scontato: il linguaggio.

Capiamo meglio.

Chiudi il testo introduttivo del libro citando Heidegger e asserendo che “la realtà non vuole essere raccontata quasi mai. Ogni racconto è una traduzione, e ogni traduzione è un tradimento”. Mi viene da aggiungere, citando Paolo Fabbri, che “siccome le lingue non sono sistemi chiusi, ogni traduzione arricchisce la lingua di partenza almeno quanto arricchisce la lingua di arrivo”.

Beh, sì. Sicuramente più di quanto faccia un tradimento.
Il punto secondo me è l’evoluzione di un linguaggio in termini più generali (rimanendo se vuoi anche al di qua delle traduzioni). Il linguaggio tenta di evolversi per stare dietro alla realtà, e ultimamente anche per starle davanti, cioè per indirizzare dei cambiamenti culturali e sociali che riteniamo necessari. In entrambi i casi lo scarto è evidente: le cose che viviamo e gli strumenti che abbiamo per rappresentarle hanno velocità diverse.
L’evoluzione del linguaggio è una cosa potentissima e per certi versi anche liberatoria (penso alla parola famiglia, che oggi inizia finalmente a inquadrare combinazioni di persone a prescindere dal genere, dal matrimonio, dai figli). Però è anche vero che il linguaggio si aggiorna, tendenzialmente, di pari passo al progresso: e il progresso è un pacco, da alcuni punti di vista. Il progresso ci ha insegnato a chiamare “viaggio”, “alimentazione”, “arte”, “lavoro”, “guerra” cose ormai lontane dalla loro iniziale natura, cose che più che aggiornare il proprio significato sembra lo perdano sempre più. E questo aspetto influisce pesantemente sul nostro modo di raccontarci la vita, in negativo intendo.
Alla fine non so quale sia la strada migliore, dubito ce ne sia una soltanto. Credo che sia giusto creare conflitti, porsi questioni.

Qualcuno si potrebbe chiedere che cosa abbia a che fare questo lavoro con la fotografia. Quanti dei limiti del linguaggio e dell’uso che ne facciamo, sono comuni a quelli delle immagini?

Ha a che fare con la fotografia quanto con il cinema o il cantautorato. I limiti sono quelli dell’immaginario, è lì che casca l’asino. L’immaginario è uno strumento formidabile, che ci permette di rappresentare la realtà anche quando non l’abbiamo davanti. È un enorme repertorio di immagini (e in parte giudizi) che abitano il nostro pensiero e che magari scegliamo di utilizzare attraverso un linguaggio specifico. La fotografia, le telefonate, la musica, le poesie, i gesti, da questo punto di vista sono solo strumenti. Possiamo immaginare Roma anche se magari siamo a Benevento, e magari possiamo riempire quella Roma con una storia d’amore in metropolitana, di notte. E la possiamo cantare con parole scure, taglienti e sincere. Qualcosa di parecchio definito per certi versi. Il problema dell’immaginario è che non riesce a rappresentare niente che non conosciamo già: dall’immaginario non impariamo niente di nuovo. È per questo che in molti casi quella canzone sull’amore in metropolitana non sorprende nemmeno noi.
E quindi l’immaginario va nutrito, sovvertito, accresciuto. I limiti ce li avrà sempre, cerchiamo almeno di allontanarli.

Il libro è, in parte e in senso propriamente letterale, un divertissement. È l’approccio a renderlo tale. Mi spiego. A volte ci sono lavori dal piglio serioso, di autori che si prendono molto sul serio, che però nella sostanza sono giochetti, spesso anche – diciamocelo – non del tutto necessari. Qui accade esattamente il contrario. Il gioco e l’ironia sono lo strumento attraverso il quale si veicola una riflessione seria; servono a interrogare il lettore, a farlo ragionare. Con il vantaggio di riuscire a farglielo fare senza quasi rendersene conto, e con il sorriso sulle labbra.

Grazie, è un bel complimento. Sono contento di questo lavoro, soprattutto del suo essere un po’ un sabotaggio. Appena gli dedichi più di qualche secondo ti accorgi di stare attraversando diversi livelli di significato. Però, come dici tu, forse te ne rendi conto solo dopo che è successo, e nel frattempo hai pure sorriso.

 

 


Il libro: 

Roberto Boccaccino
Truth or Consequences
Skinnerboox, 2020

 

 

 

29 marzo 2021

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