di Azzurra Immediato
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Per affrontare la sfida ambientale, la più importante della nostra epoca, è necessario l’impegno di tutti sul piano, prima di tutto, culturale, di visione. È necessaria una rivoluzione economica, politica, sociale, culturale e industriale per perseguire l’obiettivo di un ambiente sano e di una società equa.
Stefano Mancuso
Il concetto alla base della I Edizione del Pianeta Terra Festival – a Lucca dal 6 al 9 ottobre 2022 – emerge chiaramente dalle parole di Stefano Mancuso, che ne è alla direzione scientifica. Un festival multidisciplinare e, si legge, ‘rivolto a tutti coloro che vorranno esplorare questa nostra straordinaria casa comune e riflettere sui modi per preservarla e abitarla in modo sostenibile. Si parlerà di ecosistemi, di clima, di nuovi modelli economici, di energia, di agricoltura, di alimentazione, di sviluppo urbano, ma anche di nuove visioni politiche, sociali, filosofiche, antropologiche, artistiche.’
Già, perché il mondo, così come lo abbiamo conosciuto e immaginato decenni fa, non esiste più e non soltanto per naturale evoluzione, ma anche a causa di una repentina involuzione antropica. In parole povere, è colpa nostra se il Pianeta Terra fatica ad essere ospitale e paradisiaco perché abbiamo tutti, da secoli, creduto che potessimo abusarne impunemente… qualcuno dirà che ormai non c’è nulla da fare, da recuperare. Sarebbe una risposta semplice, oltre che una bella scrollata di dosso di responsabilità. Ma non funziona esattamente così. È – ancora – necessaria e possibile un’inversione di rotta, una rivoluzione che metta alla pari società e ambiente come due elementi concatenati in modo inscindibile. L’economia ha già mostrato molti segni di cedimento che si riflettono sull’ambiente – naturale e umano – così come, dal canto suo, la cultura, attraverso i suoi linguaggi ha evidenziato tutta una serie di problematiche ben prima che le nostre coscienze facessero i conti con la realtà.
Ed è in tale solco che ben si colloca il lavoro e la ricerca di chi, come il fotografo Paolo Verzone, allontanandosi di parecchi chilometri da casa propria e dalle sue comodità, oltre che dal calore familiare, giunge nella regione artica, ai confini del mondo oseremmo dire, per scoprirne una realtà inenarrata, una forza ancestrale ed eterna che si lega, al tempo stesso, alla ricerca scientifica contemporanea più avanzata. Qualche tempo fa avevamo chiesto a Paolo Verzone di raccontarci la sua esperienza nell’Artide – che ormai conosce bene dopo una serie di spedizioni portate avanti anche con Canon Italia – e che, da allora è continuata in maniera talvolta avventurosa, talaltra essenzialmente sublime. Esperienza che si è arricchita di nuove preziose esplorazioni e traduzioni per chi, come noi, può compiere un viaggio verso i confini della geografia immaginifica umana attraverso fotografie e pubblicazioni.
Pianeta Terra Festival è occasione per il pubblico di conoscere l’ultimo progetto editoriale di Paolo Verzone legato alla terra dei ghiacci. Sabato 8 ottobre, insieme ad Enrico Stefanelli, direttore del Photolux Festival, Verzone presenterà Spitzbergen, edito dalla tedesca MARE, in un talk così anticipato: “Ny-Ålesund, nelle isole Svalbard, arcipelago del Mar Glaciale Artico, è il più settentrionale insediamento umano del Pianeta. In questo luogo praticamente non antropizzato vive una piccola comunità di scienziati provenienti da tutto il mondo che studiano l’Artico e il clima. Paolo Verzone, tra i maggiori fotografi italiani, racconta e ci fa vedere questo straordinario laboratorio a cielo aperto.”
Spitzbergen è anche l’isola più a nord dell’arcipelago delle Svalbard, dove Verzone si è recato ben cinque volte per realizzare l’omonimo volume fotografico. Ciò ha reso possibile una sorta di indagine al di fuori di ogni schema precostruito, una ricerca che ha coinvolto la comunità internazionale che vive l’isola – una comunità essenzialmente legata alla base scientifica – e ne ha fatto proprie le quotidiane condizioni estreme, climatiche, ambientali e sociali. Ciò che spesso è considerata la quasi totale mancanza di relazione con la civiltà rappresenta, molto probabilmente, è la vera essenza, quasi magica, di questa terra. La natura ostile, le condizioni di vita estreme nel quotidiano, la ricerca di nuovi ed altrimenti impossibili equilibri, la relazione con un ambiente contro il quale poco o nulla può il potere dell’uomo, sono gli elementi che le fotografie di Paolo Verzone presenti nel libro raccontano con inattesa e sorprendente poesia.
Si legge nel testo a cura di Martina Wimmer che accompagna gli scatti scelti per la pubblicazione del prezioso libro. Sì, un volume che è prezioso poiché traduce attraverso immagini di rara forza ciò che Verzone aveva sostenuto fosse l’Artico, ossia “un luogo mentale prima che fisico, è una specie di ultima frontiera prima dello spazio, è un luogo dove rispondi di te stesso come in nessun altro luogo, la natura è implacabile e selvaggia e tu devi trovare la tua dimensione, il tuo spazio al suo interno, non hai nessuna rete di sicurezza e rispondi immediatamente e di persona degli errori che commetti, è affascinante l’idea di ricominciare a rispondere di sé, non ci siamo più abituati.”
È possibile rendere tangibile quelle che sono immagini di matrice neuronale in immagini fotografiche? Sì, e non solo perché lo affermano le neuroscienze, ma anche perché quando lo sguardo di un fotografo come Paolo Verzone può dar vita ad un dialogo estremo, unico e profondo con un luogo a tratti inafferrabile, ciò che affiora è qualcosa di inatteso, sorprendente, ben oltre le trame della bellezza mozzafiato, della meraviglia di un assoluto quasi extraterreno; probabilmente il vero senso di una simile ricerca è racchiuso, come segreto tra le profondità dei ghiacci, nella malia di una terra sconfinata e quasi inviolata in cui ogni passo può rivelare un nuovo mistero, una nuova domanda.
È questo il tempo, per tutti, di porsi domande, trasversali, di chiedersi quale contributo personale si possa dare per attuare quella rivoluzione che sia in grado di salvare il Pianeta – mentre si rincorrono notizie che particelle inquinanti siano riscontrate in polmoni, fegato e cervello dei feti, fonte: The Lancet Journal – ed è, neppure troppo velatamente, il contributo che le spedizioni di Paolo Verzone, la sua documentazione delle trame umane, ambientali e scientifiche che si interpolano alle Svalbard, pongono alla nostra attenzione.
Parto dal principio che le mie immagini non contribuiranno a salvare il mondo ma mi piace l’idea che possano generare una curiosità nello spettatore e che, grazie a questa, abbia voglia di saperne di più; è lo stesso processo che ho seguito io durante i miei viaggi.
Paolo Verzone
Spitzbergen si lascia sfogliare come se fosse un libro di fiabe, da ogni scatto sembra esalare una effimera e delicata bellezza, la cui maestosità, però, nel silenzio dell’immenso, pare far da contraltare alla debolezza umana e alla sua superbia. Fotografia dopo fotografia ci si sente come sopraffatti al cospetto di una natura così estrema e sincera, non addomesticabile. Ciò che, inoltre, Verzone ha evidenziato, attraverso la sua riconoscibile matrice ritrattistica, è il rispetto che intercorre, costantemente, tra la collettività autoctona e la comunità scientifica, un rispetto d’altri tempi, non per forma ma per sostanza, non per dovere ma per etica. Quella che, in fondo, a noi sembra mancare dall’uso quotidiano che abbiamo allogato alla forma tralasciando, troppo spesso, pericolosamente, il contenuto.
Guido Ceronetti affermava che “La scelta profonda dell’uomo sarà sempre per un inferno appassionato, piuttosto che per un paradiso inerte”. La confusione, l’irrequieta e bulimica necessità di possesso hanno forse fatto il resto, potremmo aggiungere…
Alle Svalbard, come raccontano le immagini e le parole di Spitzbergen, tra i protagonisti ritratti e narrati da Paolo Verzone ci sono gli esponenti della comunità scientifica internazionale, preziosa per il proprio lavoro, avamposto per il futuro e la conoscenza di ciò che potrebbe essere di là da venire. In questa terra ed in quei laboratori iper tecnologici, la paura dell’altro da sé si trasforma nel timore del sé, ovvero di ciò che ognuno di noi è in potere di compiere per mutare in meglio o in peggio la situazione della crisi ambientale.
Era lo stesso Verzone ad asserire che i suoi viaggi nell’Artide lo hanno portato a comprendere quanto sia in avanzamento il “cambiamento radicale dell’ambiente che ci circonda dove non c’è solo l’emergenza del riscaldamento globale da affrontare ma anche l’inquinamento, la presenza di plastica a latitudini e in luoghi non immaginabili prima ma, per me, la cosa più’ importante è stato vedere come lavorano quelli che ci hanno dato le prove di tutti questi cambiamenti e con quali strumenti lo hanno fatto” ed è per questo che un volume come Spitzbergen racchiude tra le sue pagine un gradiente di verità plurimo, un riflesso di quella bellezza – promessa di felicità citata da Stendhal – anche in grado di suscitare emozioni sì forti e primigenie utili a risvegliare assopite coscienze, ottuse visioni, stupore, paura e nuova razionale presenza.
Tutte le immagini © Paolo Verzone