di Daniela Mericio
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Un libro capace di catapultarci nella realtà quotidiana di uno dei mercati più famosi del mondo, nell’istante particolare in cui il fermento si va placando, in cui ambiente e persone scivolano nella dimensione sospesa che precede la fine di una giornata di lavoro.
Il mercato ittico Tsukiji (Tsukiji shijō) a Tokyo era un luogo speciale: amato dai turisti, altamente simbolico, il 6 ottobre 2018 ha lasciato la sua sede storica che occupava dal 1935 ed è stato trasferito a Toyosu, in vista delle Olimpiadi del 2020.
Nicola Tanzini ha raccolto l’anima di questo luogo attraverso fotografie in bianco e nero, restituendone una visione autentica e inedita. Immagini concentrate sulle persone, i venditori di pesce, la loro realtà quotidiana, gli strumenti di lavoro, la fatica fisica e mentale di chi si suda la vita. Immagini spontanee, immediate, secondo la migliore tradizione della street photography, tuttavia equilibrate, formalmente ordinate, capaci di isolare una scena in mezzo al caos senza troppa enfasi.
Due anni di lavoro condensati in questo libro e in una mostra alla Leica Galerie di Milano (conclusasi il 4 novembre 2018), a cura di Benedetta Donato. I 140 scatti del libro, suddivisi in 8 sezioni tematiche, raccontano rituali, abitudini, tradizioni: lo scarico merci, la pulizia, l’organizzazione, le interazioni, la spossatezza, le pause e il relax.
Immagini preziose, perché documentano un luogo che non c’è più e soprattutto ne raccontano aspetti umanamente significativi con sguardo partecipe. Precisa Tanzini: “Quando ho iniziato questo lavoro, pur sapendo che il mercato del pesce sarebbe stato chiuso, non ho pensato ad un documento storico, ma mi fa piacere che stia assumendo anche questo valore”.
Perché il Giappone, perché Tokyo, perché un mercato?
Il Giappone è una passione da sempre, è un Paese che volevo visitare e a un certo punto ho avuto la possibilità di fare un viaggio a Tokyo, una città che mi ha sempre affascinato, fin da bambino. Un fascino basato su immagini, fotografia, storia. Uno dei miei fotografi di riferimento è Daido Moriyama: incontrare Tokyo significava incontrare una città che conoscevo attraverso le immagini di un autore che mi ha ispirato ed è stato una guida nella mia fotografia. Il mercato del pesce è stato un caso, ne conoscevo l’esistenza ma non pensavo di fotografarlo, tantomeno pensavo di costruire un lavoro. La mia visita da turista è iniziata in un’ora in cui le attività commerciali erano terminate. La prima volta sono arrivato dopo le 9 e mentre passeggiavo in questa enorme struttura ho colto uno stato d’animo e fisico di una persona alla fine di una lunga giornata: si stava riposando e fumava una sigaretta. Erano solo le 9:30 del mattino, ma per lui il lavoro era iniziato verso le 11 della sera prima. La scena mi ha colpito e ho cominciato a vedere intorno a me tante persone che si stavano rilassando dopo le fatiche lavorative. Si è sviluppato il desiderio di approfondire un momento che viviamo tutti noi al di là del lavoro che svolgiamo: al termine dell’attività abbiamo bisogno di dedicarci un istante, chi lo vive con un amico, chi in solitudine ascoltando musica, chi si rilassa tanto da addormentarsi. Questa è stata la scintilla dal quale poi è scaturito il lavoro di Tokyo Tsukiji.
Si può dire che queste foto rappresentino una tipologia umana: avresti potuto scattarle ovunque? Cosa c’è di tipicamente giapponese?
C’è qualcosa di profondamente giapponese in questa realtà, perché sembra il luogo dove vivono i moderni samurai. Il pesce, soprattutto il tonno, è lavorato con quelle che erano le spade dei samurai, katane bellissime, enormi. Si vive veramente la cultura giapponese in questo luogo, vi si trova uno spaccato della società. E’ un contesto preciso, ma è vero che ho cercato di rappresentare qualcosa che non è solo giapponese, è universale, uno stato mentale e fisico che viene vissuto in qualunque parte del mondo.
Come scegli i soggetti da fotografare e soprattutto come ti avvicini?
È un lavoro di reportage. Consapevole della ricerca che stavo facendo, tutte le mattinate che io passavo a Tsukiji sono state caratterizzate da un approccio naturale con le persone che lavoravano. Mi sono sempre avvicinato a loro non durante l’attività lavorativa: sarei stato un elemento di fastidio, insieme a migliaia di turisti che scattano foto. Lavoravo in un orario anomalo e in un momento in cui non creavo loro disturbo, il che ha reso tutto più facile, forse per il fatto che erano ormai molto stanchi. Non sono fotografie rubate, con le tante persone fotografate c’è sempre stata un’interazione almeno a livello di gesti, erano consapevoli ma nessuno di loro ha mai chiesto un ritratto posato. Sono tutti ritratti in cui stavano facendo quello che si vede nelle immagini.
Sei uno di quei fotografi che vede il mondo in bianco e nero?
Sì. Potrei dire che per me il bianco e nero ha tutto il colore necessario. Cerco di concentrarmi su quello che mi interessa, il bianco e nero mi permette di non essere personalmente disturbato dal colore. Non amo l’estetica legata al colore o agli effetti. Cerco di rappresentare sempre un concetto o uno stato d’animo, di ritrarre una persona, di provare a raccontarla, al di là di quello che è il contesto, la scenografia quindi anche il colore inteso in senso classico.
Come definiresti il tuo stile? Cosa vorresti trasmettere attraverso le tue immagini, emozioni, conoscenza… ?
Cerco di cogliere un attimo nella speranza di riuscire a rappresentarlo. La fotografia per me è forma e contenuto, cerco di costruire l’immagine in funzione di quello che voglio approfondire. La speranza è di riuscire a trasmettere le sensazioni che mi hanno spinto a realizzare quello scatto, rappresentando uno stato d’animo, un contesto nel quale collocare l’umanità che mi interessa scoprire.
Hai detto: “attraverso la fotografia ho migliorato la mia comprensione della natura umana”…
Sono un umanista. Quello che veramente mi attrae è proprio l’uomo in tutte le sue espressioni, anche quelle degli oggetti che utilizziamo. L’aspetto culturale, ma da un punto di vista quotidiano. È nel quotidiano che cerco il racconto dell’umanità, nelle cose semplici, nella normalità.
Due parole sull’attrezzatura: a cosa non rinunceresti mai?
Da tantissimi anni fotografo con una Leica, quando usavo la pellicola lavoravo con M6, oggi sempre con fotocamere M. È una questione percettiva, perché mi fa dimenticare di avere in mano una macchina fotografica. Dove c’è la componente umana, per me sempre molto presente, è uno strumento che non intimorisce. Lavoro con il 35mm. Cerco di utilizzare molto il contesto, prediligo molta profondità di campo.
Progetti futuri?
Sono legati al mio interesse, attualmente rivolto al lavoro. Sto operando in più metropoli nel mondo per cercare di rappresentare le persone che svolgono un’attività nel momento in cui abbandonano il lavoro. La strada è il luogo dove mi piace fotografare e dove ho cominciato. È l’ambiente dove viviamo una parte rilevante della giornata. È lì che mi interessa cogliere l’umanità che vive quotidianamente nelle grandi metropoli.
Il libro:
Nicola Tanzini
Tokyo Tsukiji
a cura di Benedetta Donato
Contrasto, 2018
Fotografie: © Nicola Tanzini
26 ottobre 2018
**Tokyo Tsukiji è anche una mostra, presentata da Photolux a Lucca, nella sede di Palazzo Ducale, fino al 9 dicembre 2018**