di Luca Sorbo
“Pensavo che non avrei perduto nessuno, se solo lo avessi fotografato abbastanza” dichiara Nan Goldin. Questa sua affermazione ci fa immediatamente comprendere il senso di necessità che la fotografia rappresenta nella sua vita. È un modo per conservare le persone e le esperienze vissute. Un diario intimo in cui ogni evento anche minimo è importante.

Comincia a fotografare a 18 anni a Boston dove è affascinata dal mondo delle Drag Queen con cui condivide molti momenti della sua quotidianità. Considera la macchina fotografica un’estensione del braccio, ogni istante può essere registrato e ricordato. A New York realizza immagini nelle ore notturne, ambientate in interni dove vive gli eccessi di droga e alcool, in cui, però, emergono le intense amicizie, i rapporti d’amore ed un sesso libero, anche se a volte violento. Nel suo guardare e guardarsi c’è una disarmante sincerità. L’improvvisa irruzione dell’AIDS, che ha sconfitto molti degli anti-eroi protagonisti delle sue immagini, ha accentuato il senso di perdita che caratterizza tutta la sua ricerca visiva.


Negli anni Novanta, vivendo una fase positiva della sua esperienza umana. Fotografa i propri figli e quelli delle persone che le sono vicine. Si dedica anche a rappresentare paesaggi, il suo mondo non è più solo racchiuso nell’esperienza privata, ma si collega all’ambiente circostante.

Molto interessanti di questo periodo sono le immagini scattate a Napoli, che frequenta perché invitata da amici. C’è sempre una dominante blu, che rappresenta il Mediterraneo, ma il blu è anche il colore che nella cultura anglosassone simbolizza la malinconia.


A Napoli cerca i ricordi degli amici perduti, come a Forcella nella piazza dietro la stazione che era un luogo di spaccio. Ad Amalfi fotografa la fontana vicino al Duomo sottolineandone le caratteristiche erotiche.
Tutto questo mondo ed altro possiamo ammirarlo attraverso delle proiezioni di diapositive al Prelli HangarBicocca di Milano. Questa modalità di presentazione ha un grande potere di coinvolgimento. Il susseguirsi delle singole foto obbliga lo spettatore ad una visione più attenta rispetto ad un film. Ogni immagine è autosufficiente e si collega alla successiva in modo più libero rispetto al frame filmico che deve avere una coerenza coloristica e di inquadratura non richiesta alle proiezioni di diapositive. Il buio, il grande formato immergono lo spettatore nelle esperienze vissute da Nan Goldin come non riesce a fare la foto stampata. La sala più affollata era sicuramente quella in cui era proiettata “The Ballad of sexual dependency”. Vi erano tantissimi giovani, a testimonianza di come la fotografia riesca a coinvolgere le giovani generazioni più di molti altri mezzi espressivi.


Dichiara la fotografa: “Ho sempre desiderato essere una film-maker. I miei slide-show sono film composti da fotogrammi”
L’evento dal titolo This Will Not End Well è la prima retrospettiva dell’opera di Nan Goldin come Film-maker. La mostra riunisce il più grande corpus di slide-show mai presentato, include una installazione sonora appositamente commissionata e offre l’occasione di esporre per la prima volta in Europa in un contesto museale i suoi due più recenti slide-show.
Organizzata dal Moderna Museet , Stoccolma, in collaborazione con Pirelli HangarBicocca, Milano, Stedelijk Museum, Amsterdam, Neue Nationalgalerie, Berlino e Grand Palais Rmn, Parigi è stata inaugurata l’11 ottobre 2025 e curata in Italia da Roberta Tenconi e Lucia Aspesi. Sarà visitabile fino al 15 febbraio 2026.

Courtesy l’artista, Gagosian e Pirelli HangarBicocca, Milano – Foto Agostino Osio
La retrospettiva è allestita in diverse strutture architettoniche, definite come padiglioni, progettati dall’architetta Hala Wardé, che già in varie occasioni ha collaborato con Goldin. Ciascun padiglione è concepito in risposta a un’opera specifica, e tutti insieme formano un villaggio. Benché il titolo della mostra “This Will Not End Well” (Non finirà bene) possa suonare cupo, è contestualmente carico di un’ironia benevola, ed esprime con forza la “caratteristica, incrollabile joie de vivre” di Goldin.
L’esposizione include: The Ballad of Sexual Dependency (1981-2022), capolavoro di Goldin; The Other Side (1992-2021), ritratto storico, omaggio agli amici trans attraverso scatti intimi e privati realizzati tra il 1972 e il 2010; Sisters, Saints, Sibyls (2004-2022), testimonianza sul trauma familiare e sul suicidio; Fire Leap (2010-2022), incursione nel mondo dell’infanzia; Memory Lost (2019-2021), trip claustrofobico nell’astinenza da sostanze stupefacenti; e infine Sirens (2019-2020), viaggio nell’estasi della droga. A Milano, l’installazione “Sisters, Saints, Sibyls” (2004- 2022) sarà presentata all’interno del “Cubo”, uno spazio in cui le dimensioni e l’altezza – che supera i 20 metri – richiamano la natura architettonica de La Chapelle de la Salpêtrière di Parigi, luogo in cui l’opera è stata originariamente commissionata ed esposta nel 2004. L’installazione presso Pirelli HangarBicocca sarà riproposta in una forma fedele all’originale, che comprende anche gli elementi scultorei, visibili da una piattaforma sopraelevata.



In occasione della mostra in Pirelli HangarBicocca ospitata nelle Navate, saranno inclusi due slideshow aggiuntivi: You Never Did Anything Wrong (2024), il primo lavoro astratto di Goldin, ispirato a un antico mito secondo cui un’eclissi sarebbe causata da animali che rubano il sole, è una meditazione poetica sulla vita, la morte e i cicli naturali che collegano tutti gli esseri viventi.

La seconda opera, Stendhal Syndrome (2024), si basa su sei miti tratti dalle “Metamorfosi” di Ovidio che prendono vita attraverso i ritratti degli amici di Goldin in un dialogo visivo attraverso il tempo, e in cui l’esperienza personale dell’artista si intreccia con i suoi scatti di dipinti e sculture provenienti da musei di tutto il mondo.
Inoltre, l’esposizione si aprirà con una nuova installazione sonora del collettivo Soundwalk Collective, che l’ha concepita in stretta collaborazione con l’artista. Come una sorta di preludio, l’opera guiderà i visitatori verso il simbolico villaggio di slide-show di Goldin.


Nan Goldin (nata a Washington D.C. nel 1953) è una delle artiste di maggior rilievo nel panorama contemporaneo. La sua indagine dell’esperienza umana è ormai leggendaria, e ha influenzato profondamente generazioni successive. La sua prima opera, The Ballad of Sexual Dependency, documenta esperienze di vita a Provincetown, New York, Berlino e Londra a partire dagli anni ’70 e ’80 fino ai giorni nostri. Nel lavoro Goldin ha fotografato con ruvida tenerezza il suo gruppo di amici, creativi e bohémien. I suoi scatti catturano istanti di intimità e sessualità, il quotidiano e feste sfrenate, mettendo in luce il conflitto tra autonomia e dipendenza.

1989 – © Nan Goldin – Courtesy Gagosian
Goldin appartiene alla generazione che ha sperimentato la libertà e stili di vita prima dell’AIDS, e un mondo alternativo fuori delle norme sociali. La sua opera si pone dunque come una testimonianza dell’epoca. Intorno al 1980 l’artista ha iniziato a presentare i suoi slide-show in diversi club e spazi pubblici di New York, in cinema underground e festival cinematografici europei. In ciascuna di queste occasioni, Goldin ha aggiornato e rieditato The Ballad of Sexual Dependency, utilizzando proiettori di diapositive azionati direttamente da lei e con una eclettica colonna sonora di sottofondo. È proprio la capacità di Goldin di rivisitare gli slide-show che nel tempo ha definito il cuore della sua pratica artistica. Negli ultimi 40 anni, Goldin ha prodotto una decina di slide-show diversi, che spaziano da ritratti di amici a racconti di eventi familiari traumatici. Col tempo, l’artista ha aggiunto alle sue opere altri elementi quali immagini in movimento, voci e materiali d’archivio.
Oltre all’influenza che Goldin ha esercitato sull’arte e sul sistema dell’arte, è difficile pensare all’odierna fotografia di moda e pubblicitaria senza riflettere sui suoi rivoluzionari paradigmi visivi.
In occasione della mostra è stato realizzato un catalogo di 216 pagine, di cui 140 illustrate, con testi di Vince Aletti, Thomas Beard, Guido Costa, Marvin Heiferman, Roni Horn, Patrick Radden Keefe, Caitlín R. Kiernan, Fredrik Liew, Andrea Lissoni, Gabor Maté, Cookie Mueller, Eileen Myles, Alfred Pacquement, Darryl Pinckney, Rene Ricard, Lucy Sante, Sarah Schulman, Anne Swärd, Hala Wardé e David Wojnarowicz. Il catalogo è pubblicato in inglese e distribuito internazionalmente da Steidl Verlag”.