Il doppio specchio di Pinckers. Ambiguità dell’immagine, ambiguità del reale

Margins of Excess © 2018 Max Pinckers
di Dario Orlandi
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L’intera produzione fotografica di Max Pinckers si sviluppa intorno ad una duplice ambiguità: l’ambiguità del reale – multiforme, manipolato, interpretato, invocato – e l’ambiguità del più antico fra i mezzi investiti della responsabilità di documentarlo, la fotografia.

Nei suoi lavori – costruiti con continuità di visione ed evoluzione concettuale a partire dal 2011 – il fotografo sviluppa una sofistica fenomenologia dell’equivoco dove l’ambiguità degli scenari si intreccia con quella del mezzo in una feconda dialettica fra contenuto e linguaggio.

Lotus, del 2011, ha per oggetto primario  la transessualità in Thailandia. In seconda lettura, il tema della crisi dell’ identità di genere è per Pinckers una metafora della crisi del fotogiornalismo contemporaneo, stretto fra l’eredità della tradizione documentale, i limiti del mezzo e le ibridazioni di linguaggio delle narrative moderne: “La crisi di genere […] è trasformata in una metafora visuale della crisi che affronta la fotografia documentaria contemporanea quando osa riflettere su se stessa criticamente e confrontarsi con i propri paradossi”.

L’approccio a questo primo lavoro è ancora prevalentemente documentario, le immagini non completamente allestite. Tuttavia la prevalenza di ritratti posati, l’uso ricorrente dell’illuminazione artificiale – elementi che prolungano iconograficamente le immagini verso la sfera della finzione – sono una anticipazione della riflessione concettuale ed estetica che Pinckers svilupperà negli anni successivi che lo porterà ad allontanarsi dal mondo della fotografia documentaria tout-court; per intraprendere un lavoro di indagine sul tema della frontiera – quale che essa sia e ammesso che esista – che separa costruzione e documentazione e che costituisce una delle più significative aree di riflessione critica sulla fotografia contemporanea.

Lotus © Max Pinckers & Quinten De Bruyn

Nel successivo The Fourth Wall del 2012, Pinckers prosegue la sua esplorazione indagando gli effetti dell’iconografia del cinema bollywoodiano sull’identità collettiva indiana. Per questo progetto il fotografo ha chiesto a passanti individuati casualmente nelle strade di Mumbai di immaginarsi personaggi di un film e di scegliere un ruolo da interpretare a favore di una fotocamera e di un fotografo occidentali. “Coscienti del potere delle immagini, gli attori [improvvisati, ndr.] hanno dato il meglio di sé, riflettendo sui loro sogni da grande schermo e abbracciando il loro mondo visuale collettivo, creando dei brevi momenti di sospensione e incredulità”.

The Fourth Wall © 2012 Max Pinckers

Con Two Kinds of Memory and Memory  Itself, del 2015, Pinckers sposta la riflessione sul rapporto finzione/realtà dal piano dei media a quello dei processi culturali. Per l’autore – che riprende lo scrittore americano David Pilling – “gran parte di quella che sembra essere l’essenza della cultura giapponese [contemporanea, ndr.], risulta invece essere un distillato moderno”, fabbricato nell’ottica della costruzione dell’identità nazionale e per il mantenimento dell’ordine politico. Una costruzione deliberatamente concepita per un pubblico occidentale, radicata nella cultura giapponese tradizionale, che contribuisce a creare un’idea di giapponesità che separi il Giappone dal resto dell’Asia.”

Il processo di occidentalizzazione del Giappone post-bellico ha comportato la stereotipizzazione della sua identità collettiva a favore delle aspettative del pubblico destinatario (il mondo occidentale), allo scopo di favorire lo smarcamento del Giappone dal resto dell’Estremo Oriente e avvicinarlo all’Occidente. E’ uno scenario di indagine ideale per la riflessione di Pinckers: la fotografia – strumento sospeso per eccellenza fra realtà a finzione – è metafora e linguaggio ideale per indagare la dialettica fra sedimento culturale e modernizzazione/stereotipizzazione che caratterizza l’identità giapponese contemporanea.

Two Kinds of Memory and Memory Itself © 2015 Max Pinckers

Se con The Fourth Wall e Two Kinds of Memory and Memory Itself Pinckers si concentra sull’alterazione della realtà prodotta da ambienti altamente strutturati (il cinema bollywoodiano, la politica culturale del governo giapponese), con Margins of Excess (2018) l’autore sposta la riflessione  sul rapporto realtà/finzione al piano destrutturato, immateriale e iper-soggettivo tipico della società digitale. Dice Pinckers: “l’epoca corrente della Post-Verità, nella quale verità, mezze verità, bugie, finzione o intrattenimento sono facilmente scambiati, ha prodotto una cultura di “realtà iper-individuali”, richiedendo un nuovo approccio per individuare le forme narrative sottintese che danno struttura alla nostra percezione della realtà, in un mondo in cui non esiste più una cornice condivisa del reale”.
Dov’è il confine fra realtà e rappresentazione quando non esistono più limiti tecnici alla diffusione dei contenuti, quando qualsiasi emittente può essere generatore di “informazioni” senza essere sottoposto a verifica? Su cosa si fonda l’identità collettiva, su dati verificati o su credenze approvate consensualmente – per volontà, desiderio, proiezione, paura – anche se false? E come reagisce il pubblico davanti alla prova che una credenza – per quanto rassicurante o identitaria – è falsa? La disconosce o preferisce la consolazione della finzione alla durezza della verità?

Le sei storie fotografate in Margins of Excess hanno raggiunto un ampio consenso di pubblico, sono forti, struggenti, appassionanti…con l’unico limite di essere false! Storie amate, commentate e diffuse, ma false. Tanto false da poterle – da doverle – fotografare.

La fotografia, dunque, svela o rinforza il falso nel momento in cui lo fotografa? E anche di fronte al falso fotografico, come reagiamo se l’immagine menzognera corrisponde ad una nostra aspettativa, ad un pregiudizio, ad una proiezione?

Come illustrare meglio l’affascinante ambiguità del mezzo fotografico che si fa strumento della finzione creduta e voluta al punto tale da essere documentata, confermando documentalmente il falso?

Pinckers è sicuramente uno dei fotografi più interessanti della scena concettuale contemporanea. Le sue  immagini sono finestre sull’incertezza del reale e dei mezzi per raccontarlo, ci conducono esperienzialmente al cuore della nostra modernità sfuggente.

In un mondo caratterizzato da una velocità tecnologica tale da rendere – ironia del pensiero positivo – qualsiasi riflessione già datata nel momento stesso in cui viene elaborata, confidiamo che negli snodi a venire dell’intricata dialettica fra uomo e mondo, là ci saranno dei Pinckers che con la forza e la velocità delle immagini ci aiuteranno a intuire – e possibilmente a comprendere – la complessità del presente.

**Max Pinckers è il vincitore del Leica Oskar Barnack Award 2018, la sua serie Red Ink è in mostra a Photolux 2018, nella sede della Chiesa dei Servi, fino al 9 dicembre 2018**

 

7 dicembre 2018

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