Masahisa Fukase – “Private scenes”

Masahisa Fukase, Senza titolo, 1985- Dalla serie Raven Scenes © Masahisa Fukase Archives
di Daniela Mericio
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Sperimentatore radicale, tra i più singolari fotografi giapponesi contemporanei. Nato nel 1932 in una famiglia di fotografi. Cupo e solare, malinconico e divertente, sospeso tra gioco e disperazione. Tormentato dal dolore per la fine del secondo matrimonio e dalla depressione, che tenta di annegare in fiumi di alcol.

La mostra è un viaggio nella sua opera tra gli anni Settanta e il 1992, data fatale in cui cade dalle scale in un bar, restando in coma fino alla morte (2012). Il suo lavoro, inaccessibile per 20 anni, è stato riportato gradualmente alla luce dopo la sua scomparsa. Curata dal Foam Museum di Amsterdam, dove è stata presentata nel 2018, la mostra è la prima, grande retrospettiva europea ed è realizzata in collaborazione con Tomo Kosuga, direttore del Masahisa Fukase Archives di Tokyo. “Molti conoscono Fukase per la serie in bianco e nero Ravens, ma l’archivio ha rivelato lavori  inediti o aspetti meno noti, come l’uso del colore” spiega Kosuga. “L’opera degli ultimi anni è estrema e bizzarra. In quel periodo fotografava soprattutto se stesso, in un certo senso è stato un precursore del selfie”. Dagli archivi sono emersi provini a contatto con centinaia di autoritratti. Fukase espone il suo essere e la sua vita intima allo sguardo altrui, tanto che la sua opera è stata definita un’autobiografia per immagini. Nella realtà che lo circonda vede un riflesso di sé, ogni soggetto fotografato è una rappresentazione simbolica della propria esistenza. Lavora per serie e temi che si ripetono negli anni, in modo quasi ossessivo. Anche la mostra è suddivisa per temi, evidenziando la versatilità e l’originalità di uno spirito geniale.

Masahisa Fukase, Kanazawa, 1978, dalla serie Ravens © Masahisa Fukase Archives

RAVENS (Corvi, 1975-1985) – Sono esposte stampe vintage realizzate da Fukase. La serie, nota come La solitudine dei corvi,  fu iniziata durante un viaggio nella nativa Hokkaido, mentre il matrimonio naufragava, e proseguita per anni in una ricerca estetica incessante. A Kanazawa, città natale della moglie, fotografa i corvi al crepuscolo, creando una narrazione malinconica e poetica, fatta di immagini cupe, sgranate. Stormi in volo si stagliano contro il cielo, nere silhouettes sostano su alberi: gli uccelli sono sinistre presenze, metafora dello stato d’animo dell’autore, del suo lato oscuro, smarrito nell’abisso della solitudine. Il tema è esplorato anche a colori nelle rare polaroid della serie Raven Scenes (1985). Realizza immagini a tinte vivide e gioca con le doppie esposizioni.  Nel 1992 produce un migliaio di stampe di piccolo formato, finora inedite, sulle quali traccia linee colorate con pennarelli, seguendo i contorni delle sagome dei corvi. È l’ultimo capitolo di una magnifica ossessione.

Masahisa Fukase, dalla serie Dalla finestra, 1974, © Masahisa Fukase Archives

YOKO (1963-1976) – Musa, modella e moglie per 12 anni. Intensa e trasgressiva, Yoko Wanibe è stata al centro della vita e dell’opera di Fukase.  “Abbiamo vissuto insieme per dieci anni ma mi ha sempre e solo visto attraverso l’obiettivo” affermò “credo che tutte le mie fotografie non siano altro che suoi autoritratti”. From window (1974) è una serie in bianco e nero, scattata dalla finestra, che ritrae Yoko ogni giorno mentre esce di casa. Lo stile è leggero, i tagli azzardati, Yoko radiosa, ma alcuni scatti in cui si allontana sembrano presagire il divorzio del 1976.  Nella prima mostra del 1961, Kill the pig, Fukase accostò immagini della prima moglie Yukiyo e del loro bimbo nato morto alle fotografie di un mattatoio. Riflessione su amore e dolore, vita e morte, elaborata attingendo ad esperienze personali.

SASUKE (1977-1978) – “Nei miei 40 anni su questa terra un gatto mi ha sempre seguito come un’ombra”. La scritta introduce la serie giocosa dedicata al gatto Sasuke, compagno inseparabile dopo il distacco dalla moglie. Il fotografo segue con l’obiettivo il micio nelle sue acrobazie, ne coglie espressioni tipiche e arrampicate improbabili, creando piccole narrazioni. I gatti sono una presenza costante nella vita di Fukase. Dichiarò di non essere tanto interessato fotografare gatti carini, bensì a “scattare foto disarmanti di gatti nei cui occhi si rifletteva la mia immagine”. Definì questa serie “una sorta di autoritratto mascherato”. In fondo, una dichiarazione d’amore e complicità.

Masahisa Fukase, Sasuke, dalla serie A Game © Masahisa Fukase Archives

A GAME (Un gioco, 1983) – Serie a colori realizzata con una Polaroid gigante, alta 1,5 metri, capace di produrre immagini 50 x 60 cm di grande qualità. Ritrae se stesso, il gatto Sasuke, una modella. Decora le stampe con puntine da disegno, fili colorati, spilli, poi le fotografa di nuovo con la Polaroid. Fukase ha il volto tempestato da spilli. Uno spillo trapassa la lingua della modella, creando un effetto piercing.  “Sembrava di portare alla luce una segreta inclinazione sadomasochista” commentò Fukase.

Masahisa Fukase, Senza titolo, dalla serie Famiglia, © Masahisa Fukase Archives

FAMILY (Famiglia, 1971-1975 e 1985-1989) – La famiglia al completo immortalata più volte nello studio paterno, utilizzando la macchina di grande formato con cui il padre lavorava. Una sorta di performance, in cui le convenzioni del ritratto vengono sovvertite da trovate ingegnose. Il gruppo, in cui a volte compare anche Fukase, è ripreso di fronte e di spalle, i genitori sono semivestiti, chi è in mutande e chi indossa passamontagna. È sempre presente una donna a seno nudo (dapprima la moglie Yoko, poi modelle). La serie degli anni Settanta è ludica, il secondo “capitolo”, 10 anni dopo, porta i segni del tempo trascorso: le inquadrature sono simili, ma  l’atmosfera si incupisce e la famiglia si assottiglia. Dopo la morte del padre, il suo posto viene preso da un ritratto, così come quello della nipote, mancata anzitempo.

MEMORIES OF THE FATHER (Ricordo del padre, 1971-1987) – Album familiare, omaggio al padre Sukezo, ritratto sia in momenti di vita quotidiana, sia malato e morente. L’obiettivo si sofferma sui dettagli degli occhi affaticati, delle mani raggrinzite, del corpo consumato, consapevole di un’ inevitabile decadenza. “Tutta la mia famiglia, la cui immagine vedo invertita nella lente smerigliata della macchina fotografica, un giorno morirà. Questo apparecchio riflette e congela le loro immagini, ma in realtà è uno strumento che registra la morte”.

PRIVATE SCENES (Momenti privati, 1992)
Titolo della mostra del 1992 al Ginza Nikon Salon di Tokyo, comprende quattro serie in cui la volontà di sperimentare di Fukase raggiunge il culmine. Sulle stampe dipinge chiazze o sinuose linee a colori, creando inconsueti effetti grafici.

Nella serie che dà il titolo alla mostra  – Private scenes – si ritrae a zonzo per le vie di Tokyio. Sono anni di isolamento, in cui rivolge l’obiettivo verso di sè. Il suo interesse, spiegò, non è l’autoritratto ma la ricerca della relazione tra se stesso e ciò che fotografa.

Hibi (Crepe) – Studio sulle crepe dei marciapiedi di Tokyo, un’allusione alla pelle e rugosa e all’avanzare della vecchiaia. Fukase aggiunge iniziali e impronte digitali: una proiezione di se stesso e della sua unicità.

Masahisa Fukase, Senza titolo, dalla serie Berobero © Masahisa Fukase Archives

Berobero (Lingue) – Frutto delle scorribande notturne con gli amici e noti fotografi Daido Moriyama, Nobuyoshi Araki, Ishiuki Miyako. In ogni scatto si fotografa mentre ripete lo stesso atto: toccare con la propria lingua quella di altre persone, uomini e donne di ogni età.

Masahisa Fukase, Senza titolo, 1991, dalla serie Bukubuku © Masahisa Fukase Archives

Bukubuku (Bolle) – Bizzarri autoritratti scattati in vasca da bagno, con fotocamera subacquea. Con il volto immerso per metà nell’acqua, Fukase usa il flash con creatività, generando deformazioni, distorsioni, riflessi sghembi. In mostra, le 119 stampe in bianco e nero sono accostate tra loro a formare una grande immagine che ricopre un’intera parete. “Sono originali della mostra del ’92, curata da Fukase stesso, disposte esattamente come allora. Alcune hanno ancora il buco lasciato dalle puntine”, spiega la curatrice Hinde Haest, “grazie ad alcune installazioni in archivio, è stato possibile ricostruire il modo in cui Fukase voleva presentare il lavoro. In modo inusuale, giocoso, anarchico”. L’ultimo atto di un artista per cui la fotografia è un infinito campo di gioco, ma soprattutto un tentativo di “trattenere ciò che fugge”, come affermò nel 1976: “Il compito che mi sono dato, fotografando senza sosta nel tentativo di trattenere qualsiasi cosa, è probabilmente una sorta di compensazione della vita e dei momenti effimeri. È destinato al fallimento, ma è anche ciò che più amo fare”.

 

La mostra:
MASAHISA FUKASE | PRIVATE SCENES
Fondazione Sozzani
Corso Como 10, Milano
20 gennaio – 31 marzo 2019

Tutti i giorni, 10:30 – 19:30
Mercoledì e giovedì, 10:30 – 21:00

Ingresso libero da lunedì a venerdì
Sabato, domenica e festivi: ingresso 5 €, ridotto 3 € (6-26 anni)

 

5 febbraio 2019

1 Comment

  • Bellissimo articolo su un artista tormentato alla continua ricerca di se stesso. Magnifica la foto nella vasca da bagno.

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