di Chiara Ruberti e Enrico Stefanelli
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Ai Granai di Villa Mimbelli a Livorno, fino al 15 marzo prossimo, la retrospettiva dedicata a una delle più autorevoli figure femminili della fotografia italiana, Letizia Battaglia. Abbiamo intervistato il curatore della mostra, Serafino Fasulo e siamo riusciti anche ad avere un breve, prezioso scambio di battute con Letizia Battaglia.
CR: Come nasce il progetto “Fotografia e Mondo del Lavoro” che la Fondazione Carlo Laviosa sta portando avanti in collaborazione con il Comune di Livorno?
SF: Abbiamo presentato il progetto nel giugno scorso con un concorso, aperto ai fotografi professionisti e amatoriali, con il quale si chiedeva di declinare la macro area tematica “Fotografia e Mondo del Lavoro” focalizzando l’attenzione su “Il lavoro nel mondo della nautica: cantieri velici, circoli nautici e attività correlate”. Per la prima edizione del concorso, a cadenza annuale, il tema è legato al mare, da sempre l’anello di congiunzione tra la nostra città e il resto del mondo: i commerci e gli incontri di culture che il mare ha generato sono i pilastri portanti della città.
Nel 2019 il concorso avrà come tema l’interazione dell’industria con il paesaggio: quello che ci interessa non sono gli scempi ambientali o i paesaggi industriali classici, già ampiamente documentati con la fotografia, ma le trasformazioni che la presenza dell’industria genera nelle città, nello sviluppo e nella progettazione urbanistica (si pensi, per esempio a interi quartieri che nascono a servizio dell’industria) così come nei cambiamenti dei costumi e delle abitudini delle persone.
Oltre al concorso, la programmazione della nostra Fondazione prevede altri due importanti appuntamenti annuali: lo sviluppo di un progetto didattico e la presentazione, in una mostra, del lavoro di un autore di rilevanza internazionale.
Per la didattica, nel 2018 abbiamo coinvolto 7 associazioni del territorio che operano nel sociale e abbiamo scelto, per le sue qualità etiche e per l’attenzione che da sempre rivolge a certe tematiche, Ivo Saglietti perché coordinasse il progetto. Sotto la supervisione di Ivo e grazie alle sue “revisioni” bimestrali si è arrivati a un corpus di immagini, che se non può considerarsi esaustivo è sicuramente rappresentativo di quanto accade in città nel mondo del sociale.
L’autore con il quale abbiamo deciso di inaugurare la nostra attività espositiva è stata Letizia Battaglia.
CR: Perché Letizia Battaglia?
SF: Letizia Battaglia è, innanzitutto, una “lavoratrice” della fotografia: ha iniziato la sua carriera come reporter, e in Italia è forse stata la prima donna ad avvicinarsi a un lavoro fino a quel momento territorio esclusivo degli uomini. Per 19 anni ha lavorato al nero, come lei stessa ha dichiarato, per un importante quotidiano siciliano (L’Ora) e il suo lavoro racconta, prima di tutto, l’emancipazione della donna, in un tempo nel quale era difficile affrancarsi prima dal padre e poi dal marito.
CR: La produzione fotografica di Battaglia è enorme, quale filo conduttore hai scelto di seguire nella costruzione della selezione e del percorso della mostra?
SF: Tutto parte da una riflessione: Letizia Battaglia è la fotografa della mafia e dei morti ammazzati o è anche altro? Quello che volevo emergesse dalla mostra è il percorso di Letizia, senza che il focus fosse esclusivamente sulle immagini che raccontano la mafia, anche se certamente quelle costituiscono una parte imprescindibile, e anche la più nota al grande pubblico, del suo lavoro. Letizia Battaglia ha fotografato soprattutto la sua città, Palermo: ha fotografato la Palermo “che puzza”, una città ferita e povera, nella quale però riusciva a intravedere e raccontare anche la speranza nel futuro.
Nella fotografia di Letizia Battaglia c’è un pensiero. Dietro il suo sguardo c’è un’educazione fatta di arte, pittura del Cinquecento, cinema, letteratura, viaggi. C’è la costruzione e la consapevolezza di un pensiero, senza il quale, anche con un grande talento, non si possono realizzare fotografie “importanti”. Per sua stessa ammissione, Letizia non ha grande conoscenza tecnica, ma il suo occhio ha imparato fin da subito, forse anche dalla necessità di muoversi in mezzo a tanti altri fotografi, a leggere velocissimamente la realtà e inquadrarla in immagini che sono non solo denotative, ma anche connotative, che condensano rappresentazione della realtà, la sua interpretazione e lasciano a chi le guarda lo spazio per un’ulteriore e personale lettura.
CR: Oggi si parla spesso di “sguardo femminile”, quanto c’è, se c’è, di femminile nel lavoro di Battaglia?
SF: Le donne sono le vere protagoniste di tutta la mostra. Le donne, sia in assenza sia in presenza, sono in ogni fotografia di Letizia. Le bambine, le mogli, le madri, le sorelle. Il loro sguardo, le giuste aspettative che la società dovrebbe offrire loro, il loro dolore. Nel chiaroscuro delle immagini di Letizia, nelle zone d’ombra e nelle luci accecanti, c’è il dolore antico delle donne e della terra siciliana. Letizia ha fotografato bambine che, nella povertà, guardano al futuro. Madri che piangono figli morti e madri che svengono credendo che i propri figli siano morti. Prostitute morte ammazzate vestite in nero, come vedove di se stesse. Nessuno stereotipo, ma uno sguardo profondo e compassionevole che restituisce dignità alle donne.
CR: Se dovessi scegliere un’immagine simbolo di questa mostra?
SF: Andreotti insieme agli esattori della famiglia Salvo. È una fotografia sfocata, con tanta grana, sbilanciata. Ma è una fotografia che è stata acquisita agli atti del processo sulla trattativa Stato-Mafia. Non è solo una fotografia, è una testimonianza, attiva, un tassello importante della storia del nostro Paese.
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ES: Letizia, tu hai costruito tanto. Nel mondo della fotografia sei un punto di riferimento. Che cosa hai dovuto sacrificare della tua vita? Che cosa ti è mancato o ti manca?
LB: Non ho sacrificato niente. Ho solo ricevuto. Perché la fotografia è stata la mia vita. Mentre ero una donna perduta nel vuoto, grazie alla Fotografia sono diventata una regina.
ES: Una dote che ti è riconosciuta è quella del coraggio.
LB: Non è vero.
ES: Allora quale dote diresti che ti contraddistingue?
LB: Il progetto. Ho sempre fatto quello che stavo facendo al meglio. Lo dovevo fare. Con coraggio, e paura. C’era tutto, vomitavo dalla paura, figurati. Ma era il progetto, io dovevo. Era così importante per me fare una cosa seriamente. Quello era quello che dovevo fare, farlo bene, raccontare bene. Sentivo quello che vivevano gli altri, quello che documentavo. Il coraggio, non l’ho mai sentito il coraggio. Se c’era, c’era. Sapevo che ogni volta che andavo, rischiavo. Mi hanno sputato in faccia, figurati. Mi hanno scassato la macchina, ho ricevuto telefonate anonime.
ES: E invece il Centro Internazionale? Che cosa rappresenta per te?
LB: È lo stesso progetto, il progetto di sempre. Di fare delle cose anche per Palermo e farle bene. Che siano belle. Cercare la bellezza, cercare l’ordine nel disordine. Se tu vedi, il Centro è molto ben fatto, lo teniamo in un certo modo, accogliamo bene la gente e gli ospiti.
Sto coinvolgendo anche fotografi non famosi, per farli crescere. Quindi, da una parte i grandi e al loro fianco i nuovi. Per esempio fra poco esporremo le fotografie degli incidenti di Roberto Strano.
Vorrei recuperare tutto un tipo di lavoro, iniziando da Mulas, di cui ricordo le foto sugli artisti pop. Dobbiamo recuperare anche il passato. Mi piacerebbe fare anche Pinna. Tante cose vanno perse, magari solo perché non abbiamo i contatti giusti per raggiungerle.
Possiamo anche scambiarci idee, contatti e mostre, Photolux con il Centro… sarebbe bello.
La mostra:
LETIZIA BATTAGLIA FOTOGRAFIE
a cura di Serafino Fasulo
Granai di Villa Mimbelli – Museo Civico Giovanni Fattori
via San Jacopo in Acquaviva 65, Livorno
19 gennaio – 15 marzo 2019
da venerdì a domenica, 10:00 – 13:00 e 16:00 – 19:00
intero: € 5
gratuito per i ragazzi sotto i 14 anni
visite guidate su prenotazione
18 febbraio 2019