Lee Friedlander – America by car

Lee Friedlander, Montana 2008. © Lee Friedlander, courtesy Fraenkel Gallery, San Francisco and Luhring Augustine, New York.
di Azzurra Immediato
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Anything that looks like an idea is probably just something that has accumulated, like dust. It looks like I have ideas because I do books that are all on the same subject. That is just because the pictures have piled up on that subject. Finally I realize that I am really interested in it. The pictures make me realize that I am interested in something.
[Tutto ciò che si presenta come un’idea è probabilmente solo qualcosa che si è accumulato, come la polvere. Sembra che io abbia delle idee perché tutti i libri che realizzo sono sullo stesso argomento. Ma è solo perché le fotografie su quell’argomento. Alla fine mi rendo conto che mi interessa davvero. Le immagini mi fanno capire che sono interessato a qualcosa.]

Lee Friedlander

 

Guardare attraverso è un concetto insito nella storia della Fotografia e implica che lo sguardo sul reale sia mediato da un qualcosa d’altro, tanto percettivo quanto oggettivo, sì da rendere la traduzione del mondo sensibile un nuovo atlante da studiare, scoprire. “Le immagini mi fanno capire che mi interessa qualcosa” afferma Lee Friedlander ed è forse questa idea che spinge ad addentrarsi in un percorso non ancora tracciato e a farlo proprio, delineandone varchi e confini, tappe e cammini. Perché se viaggiare è forse un atto connaturato all’indole umana, imprimere una traccia di quel viaggiare è probabilmente la necessità di tessere una trama mnestica del proprio vivere.

Trama che immagino essersi dipanata anche quando Lee Friedlander ha pubblicato lo straordinario libro America By Car, nel 2008 – le cui immagini sono state protagoniste di alcune importanti mostre negli Stati Uniti – entrato di diritto nella storia della fotografia contemporanea. Una trama che, a ritroso, si è ramificata lungo 50 stati, seguendo un quid imprescindibile: fotografare l’America attraverso l’abitacolo di un’auto, noleggiata per l’occasione dal fotografo di Aberdeen. Quel “by car’” invero, è traducibile come un vero concetto filosofico alla base dell’indagine di Friedlander, un approccio volutamente e dichiaratamente scelto per quel viaggio alla scoperta di un Paese e del suo paesaggio, sempre diverso o spesso simile, accomunato da una sorta di inquadratura archetipica.

Lee Friedlander, Las Vegas, 2002.  © Lee Friedlander, courtesy Fraenkel Gallery, San Francisco and Luhring Augustine, New York.

Se riflettiamo, le strade e l’automobile, o anche il viaggio lungo immense rotte autostradali, riportano alla memoria collettiva l’imago iconica degli Stati Uniti fuori dalle grandi metropoli. Friedlander, tuttavia, si spinge oltre, rappresentando gli USA attraverso una perimetrazione all’interno della cornice degli specchietti laterali e retrovisori dell’auto, dei finestrini e del parabrezza, spazio cui affidare un racconto antropologico sul campo, sorretto da una visione perturbante che ricorda quella di David Lynch, volta a raccontare per mezzo della fotografia l’avvento degli anni Duemila nel paesaggio e nella società americana.

A questo punto però l’architettura di vetro va trasferita anche agli oggetti in movimento, come le automobili […] in tal modo il paesaggio si trasformerà radicalmente si legge in quel sogno diventato saggio di Paul Scheerbart nel 1914, Glasarchitektur.

Ripensando a tale passaggio d’inizio Novecento, osservare gli scatti di Friedlander assume una connotazione piuttosto peculiare, forse inaspettata. Ogni immagine racchiude in sé una diarchia: la fotocamera vede per il fotografo, il quale, al tempo stesso, ha scelto cosa e come far vedere alla macchina fotografica. In tale apparente dualismo è racchiuso il punctum ontologico che si registra negli scatti di America By Car. Alla meraviglia dello svelamento per scorcio o per perturbanti accostamenti e tagli compositivi, Lee Friedlander affianca una narrazione delle simbologie statunitensi per antonomasia, lasciando aperta la lettura verso una sorta di sabotaggio della memoria collettiva, per mostrare, al contrario, un limbo intermedio in cui l’occhio si muove nello spazio a sua volta racchiuso in una pregressa cornice.

Alla grandezza del Made in Usa, Friedlander contrappone il piccolo universo dell’automobile, vettore indicale dello spostamento umano, tramite di raccordo con il mondo da conquistare. Eppure a Friedlander non interessa farsi padrone dell’immensità americana; piuttosto, la sua ricerca sposa una commistione che abbandona la rigida composizione semiotica cui, da sempre, certi paesaggi ci hanno abituati, per ridefinirne una nuova funzione.

Lee Friedlander, Alaska, 2007.  © Lee Friedlander, courtesy Fraenkel Gallery, San Francisco and Luhring Augustine, New York.

L’interno dialoga con l’esterno, il fuori e il dentro sono parti di una stessa, stretta, relazione. Ciò che il fotografo vede, e noi con lui, è abitato da altri elementi che interagiscono con il paesaggio, in cui, spesso, l’uso degli specchi o delle superfici vitree restituisce un riflesso di quel che laggiù vive, si muove o resta immobile. In tal maniera, quel “guardare attraverso” accennato nell’incipit suggerisce anche un oltre: oltre il già noto, oltre l’ovvio. Già, perché tra i dettagli del telaio d’auto, tra le accomodanti linee curve del volante o l’immaginifica ricreazione di soggetto da parte degli specchietti, ogni scatto restituisce una costruzione architettonica nuova degli States. La stessa costruzione dell’intero lavoro non segue tappe geografiche, ma tappe tematiche e Friedlander raggruppa gli scatti a seconda del soggetto: monumenti, chiese, case, fabbriche, gelaterie, Babbo Natale di plastica, memoriali lungo le strade degli stati. Tutto poi, racchiuso in un’ulteriore cornice: il ritaglio quadrato, in bianco e nero; 192 immagini dipanano un filo che ritrova echi di lavori del passato ma che, soprattutto, portano un nuovo respiro e nuove, coinvolgenti delineazioni.

La fascinazione per ciò che mediante il varco dell’auto il fotografo registra e riporta, attua una sospensione di carattere scenico quasi ponesse l’osservatore dinanzi a frames di una più lunga pellicola srotolatasi lungo i punti cardinali degli Stati Uniti. In tal modo, il senso ultimo del valore affidato al frammento assume un ruolo corale, sia di matrice compositiva, estetica, nella deliberata rappresentazione di “cornice”, sia di matrice intellettuale, capace di generare accostamenti inusitati, sorprendenti tasselli di un invisibile puzzle più ampio. L’automobile e i suoi elementi assurgono, così, a rappresentare un vero e proprio dispositivo ottico, lente privilegiata di indagine sullo spazio e sulla sua conquista da parte dell’uomo o della commistione tra uomo e natura.

I giochi di asimmetrie – giochi di una straordinaria serietà – raccontano di stupori, di leggi per sguardi appena inventati, di realtà altrimenti rivelate, in grado di portare in scena un’America sempre troppo lontana dai riflettori e latrice di una sottile ironia. Ironia che la street photography di Friedlander si portava dietro da anni, da quando qualcuno scrisse che le sue immagini ritraevano talvolta “soggetti banali”. Da quella che qualcuno considerava “banalità” egli, insieme con altri illustri colleghi, ha permesso che tale grammatica formale divenisse linguaggio fotografico giustamente riconosciuto, trasposizione per immagini di quella letteratura “on the road” che mostrava l’urgenza di raccontare lo spazio del vissuto quotidiano nella genesi del suo mutamento, del suo riflettersi urbano e umano. E infatti il concetto di rispecchiamento, da sempre presente nelle scelte di Friedlander, funge, in qualche modo, da firma autoriale, così come un certo bianco e nero.

Lee Friedlander, California, 2008. © Lee Friedlander, courtesy Fraenkel Gallery, San Francisco and Luhring Augustine, New York.

Poi, naturalmente, Lee Friedlander è diventato il nome che tutti conosciamo, senza necessità di altre presentazioni, e il suo sguardo quello di molti che cercano di comprendere qualcosa in più degli Stati Uniti e della fotografia. Come, ad esempio, il fatto che l’occhio principe dell’artista, del fotografo o dello scrittore, ha la capacità di anticipare i tempi, di premonire il futuro. Osservando gli scatti di America By Car, pensiamo a Friedlander nella sua auto, per migliaia di chilometri, a scattare attraverso una sorta di camera visiva, unico modo per potersi interfacciare con il fuori, con l’altro da sé. Non sembra il modo che, oggi, all’ombra degli stravolgimenti portati dal Covid-19 nelle nostre abitudini, ci permette di guardare oltre la bolla della nostra casa? Quel “fuori” intoccabile, da cui difendersi e da osservare a debita distanza. Questa, naturalmente, è solo un’ulteriore distorsione della scena, un più profondo stravolgimento del riflesso del reale, dell’osservazione attraverso una coralità di media che poco ha a che fare con il viaggio di Friedlander attraverso l’America ma, certamente aggiunge un ulteriore piano percettivo.

E in fondo, a ben rileggere certi scatti, essi diventano un viaggio senza tempo, troppo lontano da quanto compiremmo oggi, ma molto vicino a quello che avremmo voluto compiere, accanto al fotografo, in giro per gli States. Ecco, perciò, che America By Car si trasforma in archetipo, in icona, in immaginario talmente rivelatore di qualcosa che afferisce alla fantasia del viaggio Usa on the road per antonomasia da essere una sorta di sacro libro della fotografia.

Quindici anni, cinquanta Stati, quasi duecento scatti, l’anima statunitense al di là di quella patinata è America By Car, un’esplorazione visionaria che ama costruire stratificazioni, di chilometri, strade, città, vite, nella tensione di una straniante evocazione.

 

“I always wanted to be a photographer. I was fascinated with the materials. But I never dreamed I would be having this much fun. I imagined something much less elusive, much more mundane.”
[Ho sempre voluto fare il fotografo. Ero affascinato dai materiali. Ma non avrei mai pensato di divertirmi così tanto. Immaginavo qualcosa di molto meno elusivo, molto più mondano.] Lee Friedlander

 


Il libro
:
Lee Friedlander
America by car
Fraenkel, 2010

 

 

 

 

 

 

 

 


29 marzo 2021

 

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