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di Luca Sorbo
Giovanni Fiorentino è un intellettuale particolarmente impegnato nella valorizzazione della cultura fotografica italiana. Allievo di Alberto Abruzzese, vive già da adolescente la fascinazione, e la pratica, della fotografia. Oggi è professore ordinario all’Università degli Studi della Tuscia, dove dirige il Dipartimento di Scienze Umanistiche, della Comunicazione e del Turismo, inoltre è autore di numerosi libri. Presidente della Società Italiana per lo studio della Fotografia (SISF) dal 2015, è al suo terzo mandato. Interessato alle relazioni tra media, storia e società in una prospettiva interdisciplinare, ha studiato da una parte le relazioni tra immaginario, estetica, patrimonio culturale e immagine, dall’altra le relazioni tra media, ambiente e apprendimento, con una particolare attenzione al medium fotografico e alle sue trasformazioni dall’origine ai giorni nostri.
Lo abbiamo intervistato per approfondire il suo percorso, i progetti in corso e quelli futuri.
Come è nato il tuo interesse per la fotografia?
L’interesse per la fotografia è figlio di un’impronta genetica. Ho avuto la fortuna di avere in casa un padre che viveva di fotografia, in quanto appassionato praticante dilettante, ma anche docente di discipline artistiche nelle scuole superiori, amministratore comunale e operatore culturale. Da studente liceale, affiancavo mio padre nei suoi reportage sul territorio, indossavo una reflex al collo inseguendo gli eventi della vita di provincia e nello stesso tempo venivo immerso in un contesto culturale che, proprio grazie a mio padre, tra la fine degli anni Settanta e il principio degli anni Ottanta, accoglieva a Sorrento mostre fotografiche, convegni ed eventi legati all’immagine, incrociando personaggi come Lanfranco Colombo, Ando Gilardi, Angelo Schwarz, Marina Miraglia, Peppe Alario, Mimmo Jodice. Nel 1980 i giovanissimi Antonio Biasiucci e Raffaela Mariniello espongono i loro primi lavori in mostra proprio a Sorrento. Poi gli anni di studio universitario a Porta di Massa per Lettere moderne rappresentano una occasione per seguire i corsi di storia dell’arte e i corsi dedicati ai media di Alberto Abruzzese. Alla mia richiesta di tesi dedicata al cinema, Abruzzese mi suggerisce di pensare alla scarsa attenzione nei confronti della fotografia e a Napoli come capitale dell’industria culturale. Nasce così una ricerca documentata sulla nascita della fotografia a Napoli tra pittura, letteratura, giornali e turismo d’élite. Napoli è città ideale dove nella prima parte dell’Ottocento la fotografia trova terreno fertile e immaginario già pronto a tradursi in riproducibilità tecnica. La tesi di laurea diventerà il libro Tanta di luce arcana meraviglia (Franco Di Mauro, 1992) introdotto proprio da Alberto Abruzzese.
Oltre questo libro, quali altre pubblicazioni hai realizzato che hanno per tema la fotografia?
Credo che un nodo interessante della mia ricerca possa essere considerato il libro L’Ottocento fatto immagine. Dalla fotografia al cinema, origini della comunicazione di massa. (Sellerio, 2007) in cui analizzo l’Ottocento fotografico come tempo che prepara alla società della comunicazione di massa novecentesca. Ho dedicato grande attenzione alle forme popolari di riproduzione fotografica, dalla carte de visite alla cartolina, fino alla stereoscopia che raggiunge presto nell’Ottocento un consistente pubblico borghese. Parte di tali ricerche, sono poi confluite nel libro Il flâneur e lo spettatore. La fotografia dallo stereoscopio all’immagine digitale (Franco Angeli, 2014), cercando di proporre analisi in grado di guardare diversamente al presente della fotografia digitale nei contesti di vita delle piattaforme virtuali. E poi ci sono state ricerche puntuali dedicate ad autori, luoghi e contesti storici e sociali diversi, tra le quali ricordo in particolare Il sogno è un’isola (La Conchiglia, 2001), un lungo viaggio che raccoglie i percorsi di studio dedicati all’isola di Capri che trova nella fotografia l’esito mediale compiuto di un immaginario già evocato attraverso pittura, letteratura e incisione. A partire dagli anni Novanta, l’attività pubblicistica mi ha aperto la possibilità di una collaborazione intensa con le pagine culturali de Il Mattino. Da qui ho avviato una esplorazione della fotografia contemporanea con baricentro mediterraneo, incontrando spesso autori e fotografi napoletani o comunque artisti che si sono confrontati con l’immaginario della nostra città. È principalmente da questa esperienza che nasce la collaborazione curatoriale per la mostra O’Vero. Napoli nel mirino, tenuta al museo Madre nel 2010, e realizzata in collaborazione con Eduardo Cycelin e Mario Codognato: la fotografia napoletana nell’esperienza di O’ Vero esce fuori in tutta la sua complessità, molteplicità e ricchezza, presentando al fianco della fotografia contemporanea riconosciuta – ad esempio il caso straordinario di Luciano D’Alessandro – esperienze apparentemente marginali, ma che nutrono la vitalità del rapporto fotografia, creatività, società con la nostra città. E penso almeno al caso di Oreste Pipolo, considerato a lungo e troppo semplicemente come fotografo di matrimoni.
Il tema degli archivi credo sia uno dei principali impegni della tua attività come presidente della SISF. Che cosa è la SISF e di cosa si occupa?
La SISF è la Società Italiana per lo Studio della Fotografia, che da una parte recupera le radici della Società Storica, ma dall’altra rinasce nel 2006 ad opera di un gruppo di studiosi, conservatori, docenti universitari, fotografi per costruire una rete che pone al centro dell’attenzione la cultura fotografica, non tanto come disciplina singola, ma come crocevia di un insieme di interessi culturali trasversali e interdisciplinari. Tra i fondatori devo ricordare Marina Miraglia, punto di riferimento per la cultura fotografica italiana scomparsa nel 2015, Luigi Tomassini che è stato il primo presidente e Cesare Colombo, purtroppo anch’egli scomparso, fotografo particolarmente attento al dialogo e al confronto culturale. La collaborazione con i fotografi è proseguita nel consiglio Direttivo con la presenza di Alessandro Imbriaco e Antonio Biasiucci, con il quale abbiamo organizzato due laboratori formativi a Napoli dedicati al tema della mostra e al tema del libro fotografico, presentato nella primavera 2022 al museo Madre. Dopo la pausa di due anni dovuta al Covid, abbiamo rilanciato quest’anno l’esperienza residenziale di formazione della Summer School, arrivata alla sesta edizione. La Summer School SISF è una settimana di studio immersiva e comunitaria che si svolge dal 2015 a Pieve Tesino, in provincia di Trento, presso la sede del Centro Studi Alpino dell’Università della Tuscia. Si tratta di una proposta di alta formazione culturale e professionale basata su lezioni e laboratori tenuti da storici, critici, esperti e professionisti, artisti, orientata all’acquisizione di saperi e di pratiche nel campo della cultura dell’immagine. Quest’anno la parte laboratoriale è stata curata dal fotografo Nicolò Degiorgis che ha guidato gli studenti alla realizzazione di una fanzine autoprodotta.
All’Università della Tuscia, dove insegni, hai avviato un Corso di Alta Formazione dal titolo La fotografia dal dagherrotipo al digitale. Come è strutturato e perché hai deciso di proporlo?
Il corso rientra nell’offerta formativa del Distretto Tecnologico per la Regione Lazio e prova a dare una risposta alla domanda di formazione in campo visuale e fotografico sostanzialmente inevasa dalle università italiane. Della durata di un anno, il Corso di Alta Formazione ha proposto un profilo professionale orientato alla tutela e alla valorizzazione della fotografia, a partire dalla dimensione materiale dell’oggetto storico nelle sue straordinarie trasformazioni tra Otto e Novecento, fino al destino digitale del medium. Sono stati coinvolti molti studiosi che fanno parte della rete strutturata della SISF, a partire dalla presidenza rappresentata da Roberta Valtorta, Monica Maffioli e Francesca Bonetti con una collaborazione solida con il gruppo di lavoro dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione. Al corso hanno preso parte 25 studenti provenienti da tutta Italia, dalla Lombardia alla Sicilia, che hanno avuto la possibilità di effettuare stage nelle sedi di istituzioni prestigiose localizzate appunto tra Milano, Roma, Firenze e Napoli, a partire proprio dall’ICCD, per arrivare alla Fondazione Alinari, fino al Museo Archeologico Nazionale di Napoli o al Civico Archivio Fotografico di Milano.
Quali sono i tuoi progetti futuri e quali saranno le prossime iniziative della SISF?
Penso costantemente al mio territorio d’origine, alla Campania, a Napoli e alla sua provincia. Mi piacerebbe trovare il modo per valorizzare l’enorme patrimonio fotografico presente in Campania, poco conosciuto a livello nazionale e internazionale, disperso per lo più in archivi privati, per lo più senza relazioni con le istituzioni pubbliche. Anche per la SISF, uno dei nodi culturali da affrontare è costituito da un patrimonio fotografico disperso che sarà oggetto, insieme agli archivi, di un ciclo di seminari on-line. L’impegno dell’associazione proseguirà sul territorio della formazione con la Summer School estiva e il laboratorio primaverile napoletano. Il 17 e il 18 novembre ritorneremo in presenza con il convegno annuale, dedicato al fotogiornalismo italiano – Il fratello minore. Fotogiornalismo: virtù e crisi di una professione. Il caso italiano – e organizzato a Roma in collaborazione con la Fondazione sul Giornalismo Italiano Paolo Murialdi. In ultimo, con Roberta Valtorta e Monica Maffioli abbiamo varato un progetto editoriale complesso con la casa editrice Pearson – Bruno Mondadori, orientato a un pubblico di studenti universitari che presenti una riflessione interdisciplinare e secondo prospettive diverse dedicata alla storia culturale della fotografia italiana.