di Azzurra Immediato
_
Il termine “etica” deriva dal greco antico ἠϑικά e dal latino ethĭca, stanti ad indicare, in filosofia “ogni dottrina o riflessione speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo, soprattutto in quanto intenda indicare quale sia il vero bene e quali i mezzi atti a conseguirlo, quali siano i doveri morali verso sé stessi e verso gli altri, e quali i criteri per giudicare sulla moralità delle azioni umane”. Cosa intendiamo noi, oggi, con il lemma etica?
Un quesito estremamente semplice dalla risposta molto complessa, poiché, di etico, in questo nostro mondo, è rimasto davvero poco; etica, probabilmente, è l’ombra fuggevole di ciò che avremmo dovuto essere. Oggi, un tempo in cui il mondo “evolve velocissimamente quasi quanto il click di uno scatto fotografico” afferma il comunicato ufficiale del Festival della Fotografia Etica di Lodi diretto da Alberto Prina e giunto alla sua dodicesima edizione.
Il Festival della Fotografia Etica – svoltosi dal 25 settembre al 24 ottobre – ha riportato al centro della ricerca l’esito dell’indagine del fotogiornalismo internazionale, a seguito di un anno e mezzo che ha cambiato la storia e la società; un periodo in cui Lodi, in particolare, ha toccato con mano lo stravolgimento del quotidiano. Se nel 2020 il festival ha voluto mostrare la propria forza di esserci, l’edizione 2021 torna a raccontare e raccontarsi in presenza, con più di 20 mostre ma anche incontri, masterclass, talks, letture portfolio, visite guidate con gli autori ed esiti di premi, come il World Report Award | Documenting Humanity, ideato dall’FFE nel 2011, teso a dar voce a un’innovativa forma di impegno sociale tramite la fotografia, sostenendo i fotografi nel loro lavoro e ampliandone la portata su scala internazionale.
Qual è, pertanto, la vera particolarità di un festival come quello di Lodi?
Porre il focus su accadimenti il cui impatto etico è di fondamentale rilevanza, nell’alveo di quella relazione tra fotografia, comunicazione ed etica, appunto, che definisce dinamiche e processi in atto nel mondo intero. Un rapporto, quello tra Italia e oltreconfine, che si consolida mediante il progetto “Travelling Festival, mostre che nascono a Lodi ma che viaggiano in Italia e all’estero” e che propone un ampliamento di visione e prospettiva in ambito internazionale non già e non solo attraverso le storie a noi più note quanto, anche, consentendoci di spingere lo sguardo verso vite diametralmente opposte alle nostre.
Lodi, per quasi un mese, dunque, si pone come luogo centrale di un’indagine ampia che, nei luoghi più significativi della città, si fa eco di un mondo talvolta lontano, talaltra sì vicino da non esser riconosciuto dai nostri occhi poco avvezzi a individuare nell’altro da sé un filo che conduca la vita verso una morale collettiva. Il viaggio proposto dal festival per questa edizione riparte dal World Report Award, forse il vero punctum del Festival stesso e le cui sezioni somigliano ai capitoli di una narrazione globale mediante cui compiere una sorta di analisi ex post. I visitatori saranno catapultati per azione percettiva ed emotiva in ciò che il FFE preannuncia a partire dalla sezione “MASTER, vinta dall’italiano Nicolò Filippo Rosso con Exodus, viaggio che documenta la lunga marcia di rifugiati e migranti dal Venezuela alla Colombia e dall’America centrale al Messico e agli Stati Uniti, in cerca di pace e libertà”.
Si prosegue con la categoria “SPOTLIGHT, assegnata al polacco Jędrzej Nowicki e alla sua Scars, resoconto di quella che oggi è considerata la più grande protesta antigovernativa nella storia della Bielorussia, iniziata nell’agosto 2020″.
Per la sezione SINGLE SHOT è si è aggiudicato il premio “lo scatto singolo del belga Alain Schroeder dal titolo Saving Orangutans, che denuncia il pericolo di estinzione dell’orango in Indonesia a causa della deforestazione incontrollata”.
A Nicolò Filippo Rosso va anche la vittoria della sezione SHORT STORY per Consumed by Grief, “racconto del ritorno dei corpi di 13 migranti al loro villaggio natio in Guatemala, partiti pochi mesi prima in cerca di una nuova vita in Texas, dove non fecero mai arrivo”.
La fotografa tedesca “Jana Mai si è aggiudicata la categoria STUDENT con il lavoro The Descendants Of The Wolves, ossia la storia dei Gagauzi, una minoranza turca di fede ortodossa cristiana che vive nell’area meridionale della Repubblica Moldova”.
Chiude questa carrellata “la categoria FUTURE GENERATIONS, vinta dall’italiano Daniele Vita con Bagnanti, che ci porta a Catania sulle tracce dei giovani adolescenti dei ‘quatteri’, e della loro voglia di vita parallela spesso a scelte di criminalità e malavita”.
Sin da questa prima ricognizione, appare chiaro quanto il Festival della Fotografia Etica ponga il proprio obiettivo sulla scelta di sostenere la diffusione di un racconto del nostro tempo privo di limiti e scevro da una edulcorazione narrativa che, spesso, invade la cultura dell’immagine contemporanea. In un ambito come quello del Sistema Festival Fotografia, il FFE propone un rafforzamento di talune tematiche, volte a dichiarare verità umane la cui conoscenza appare ormai fondamentale e necessaria, oltre che urgente, in un alveo in cui l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo si sostengono a vicenda, sino quasi a combaciare in talune espressioni, spesso negative, del nostro vivere.
Merito della fotografia e compito dei fotogiornalisti è portare in scena, ovvero su quella scena abituata alla sola bellezza quale apice della cultura dell’immagine, i tratti più scomodi, i fatti più allarmanti e sconcertanti di un mondo forse alla deriva. Realtà e collettività percorrono, in tal modo, un itinerario condiviso e che affonda le proprie nuove radici in ciò che è anche il tema scelto dal Festival: il cambiamento.
In che maniera la percezione del mondo così come lo conoscevamo è mutata? In che modo, oggi, i grandi e funesti avvenimenti che siamo soliti legare a quello che, in modo affatto etico definiamo “il Sud del Mondo”, ci appaiono più vicini perché anche noi abbiamo conosciuto la debolezza della nostra società? Cosa accade laddove violenza, guerra, razzismo, povertà, disuguaglianze e ingiustizie sono ancora la quotidianità? Può la fotografia essere testimone e veicolo di informazione ma anche di cambiamento di prospettiva?
A tali domande paiono rispondere altri focus del Festival lodigiano, come accade nello Spazio Approfondimento, ex Chiesa dell’Angelo che ritrova, dieci anni dopo, “un maestro del fotogiornalismo mondiale, l’americano Eugene Richards, che ci porterà nell’America profonda del delta dell’Arkansas per vedere quali promesse erano state fatte 50 anni fa alla comunità afroamericana, e quante di quelle si vedono realizzate oggi. Storie che raccontano la povertà endemica, il razzismo, la violenza e la lunga strada ancora da percorrere per raggiungere l’uguaglianza, in una mostra assolutamente inedita in Italia” mentre lo Spazio Outdoor sarà scena per la fotografa americana Ami Vitale con A Daring Giraffe Rescue e per il fotografo olandese Jasper Doest con Pandemic Pigeons – A Love Story, che individuano ulteriori aspetti del racconto per immagine, in uno spazio libero e a cielo aperto, fuori dalle sedi espositive, pronto ad interloquire con la comunità.
Il nostro tempo, poi, è approfondito grazie alla sezione Uno Sguardo sul Nuovo Mondo, che propone due itinerari: il primo, in collaborazione con Agence-France Presse, racconta con reportage di diversi fotogiornalisti La democrazia americana messa alla prova. Una nazione divisa, e Siria: dieci anni di conflitto”; segue il lavoro The New Name of Death, dell’iraniano Farshid Tighehsaz, che ha documentato l’impatto della pandemia Covid-19 su una nazione difficile e complessa come l’Iran.
In tale zona d’ombra mondiale, si inserisce un omaggio unico, Un ricordo per Gino dedicato e in favore di EMERGENCY grazie al racconto di Giulio Piscitelli, con fotografie realizzate negli ospedali afghani e che rafforzano quel sodalizio che, sin dalla prima edizione, ha caratterizzato il Festival della Fotografia Etica e l’associazione fondata da Gino Strada. Una mostra, questa, in particolare, che si lega profondamente alle parole di Strada riportate dal FFE: “Curando le vittime, anno dopo anno, abbiamo capito una cosa semplice. Che qualunque siano le armi, qualunque siano i motivi, la guerra ha sempre la stessa faccia: morti, feriti, gente che soffre. È trovandoci di fronte ogni giorno la sofferenza di centinaia di esseri umani, che abbiamo iniziato a maturare l’idea di una comunità in cui i rapporti siano fondati sulla solidarietà e il rispetto. Una società che faccia a meno della guerra, per sempre”.
E No Profit, invece, è la sezione promossa dalla Fondazione Fútbol Más ospitante il fotografo Sebastian Gil Miranda con il progetto Baba Yao. The Father Of All, “la bellissima storia di Austin Ajowi, allenatore di calcio keniota di Mathare, una delle più grandi baraccopoli di Nairobi e dell’Africa” esposta nel complesso lodigiano ideato da Renzo Piano.
La complessità di un mondo difficilmente comprensibile, la cui ondivaga narrazione trova attimi di sosta nella fotografia, si avvicina al nostro spazio abitato grazie ad una novità presentata al pubblico dal FFE, lo “Spazio Freedom, con i lavori di Fiorella Baldisserri e Lorenzo Pesce. Fiorella racconta la storia di Morris Donini, bolognese, che tutti conoscono come Morris il ‘cinemaio’, un artigiano della pellicola che in questo anno di chiusura forzata a causa della pandemia ha deciso di continuare a proiettare film a sala vuota. Lorenzo invece racconta gli adolescenti che hanno espresso i sogni, incubi e desideri vissuti durante la pandemia”, mostre, peraltro che incontreranno il pubblico nella vicina cittadina di Montanaso Lombardo.
A Lodi torna anche il Premio Voglino, quest’anno assegnato ad Alfredo Bosco ed al suo Forgotten Guerrero, reportage sulla difficile situazione politica e sociale dello stato messicano di Guerrero, mentre uno spazio ad hoc – Corporate for Festival – è dedicato a quei progetti capaci di porre in relazione fotografia ed aziende che per senso di responsabilità sociale di impresa, promuovono una riflessione su temi etici cardine, come nel caso della mostra di Silvia Amodio dal titolo Io ero, sono, sarò, sul tumore al seno e sostenuto da Coop Lombardia.
Un’edizione definita potente ed accompagnata da un corposo catalogo edito da emuse e da una proposta ampia, in parte digitale, che sottolinea quelle che sono le specificità del Festival della Fotografia Etica di Lodi: porre lo sguardo su quella parte di mondo troppo lontana, fermare la vista su quell’umanità considerata una verità scomoda per il nostro benessere ed usata come vittima sacrificale per il nostro amato progresso. In tal senso, la cultura dell’immagine, la forza del racconto fotografico deve scontrarsi con il perbenismo, con la gabbia di clichés con cui tentiamo, da secoli ormai, di difenderci con barricate di cecità; non è un caso che la scrittura fotografica si proponga come metafora tangibile di una presenza ormai non più celabile, nella quale la nostra assenza non è più giustificabile.
Cos’è etico, oggi, nel nostro mondo? Cosa ci ha insegnato l’ultimo anno e mezzo?
Lodi ed il suo festival fotografico definiscono l’avvio di un processo di ripensamento imponente e fondamentale, senza mezzi termini, ma con un coro di testimonianze che spinge a fermarsi, riflettere e agire secondo un nuovo e necessario modus operandi, per una società che possa essere latrice di umana etica.
Essere consapevoli è il primo passo per ricominciare a comprendere il valore dell’etica di questo nostro vivere.