di Daniela Tartaglia
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“L’anima di un paese è negli occhi delle sue donne, in un paesaggio a una certa ora, in un frammento, in una canzone, in una parola” scrive Matilde Serao nel 1893, nel suo Viaggio in Palestina, diario alla ricerca dell’anima della cristianità ma anche della propria.
E fra i tanti modi di raccontare la sofferenza di un popolo e quello che rimane della sua anima, senza ricorrere alle immagini degli scontri del conflitto arabo israeliano, c’è senza dubbio quello di indagare ed ascoltare il paesaggio, di dare voce ad uno dei più bei luoghi della storia umana: un territorio minato dalle distruzioni inflitte dal conflitto ma anche “da una violenza attiva, industriosa. Catastale. La bruttezza dell’asfalto e del bitume (…) il disordine generalizzato del paesaggio” (Christian Salmon, 2003).
Federico Busonero – intellettuale che ama porre la fotografia in relazione con letteratura e storia – nel suo lungo viaggio in Palestina, intrapreso per conto dell’UNESCO e sfociato nel 2016 nel libro The Land That Remains, si è interrogato a lungo sulle modalità di rappresentazione del mondo e del territorio palestinese e alla fine ha scelto di fare appello alla memoria, alla storia, alla letteratura, ad un immaginario insito nel paesaggio. Una selezione di scatti tratti dal libro è ora in mostra a Montalcino, per la prima esposizione italiana dopo svariate tappe all’estero.
La complessità e pensosità del suo lavoro permette di affrontare alcuni nodi teorici che, fin dalle origini, hanno visto la contrapposizione fra fotografia come mimesis, descrizione e catalogazione, super occhio tecnologico capace di vedere meglio dell’occhio umano e la fotografia come strumento di interrogazione sul mondo, come mezzo per poter arrivare a conoscere anche la propria realtà psichica, ciò che è oltre la conoscenza fattuale del momento.
Federico Busonero aderisce appieno alla pratica della fotografia come metodo di indagine, come approccio esistenziale, esperienziale. La sua visione nasce da un’urgenza forte, è un modo per indagare la complessità della realtà e comprendere il proprio tempo in rapporto a quello della storia, presupposto basilare per poter capire il senso dei luoghi, interrogarsi sull’idea stessa di paesaggio e sulle sue modificazioni e criticità.
Nelle parole dell’autore, The Land That Remains “trascrive e rende in immagini la bellezza e la sofferenza dei paesaggi della Palestina. È una meditazione su una civilizzazione epica oggi sul punto di scomparire, una elegia e una forma di affetto per il suo passato e il suo presente. La terra che resta è uno stato indefinibile dell’immanenza di tutte le cose, di tutto quello che abbiamo già visto e conosciuto in altri luoghi e in altri tempi e che abbiamo dimenticato. La Palestina che ho visitato rimane sfuggente, trafitta nell’immobilità del suo tempo. Mi sono sentito quasi un intruso nell’avvicinare la contraddittoria topografia dell’attuale e il passato esigente in essa contenuto: luoghi di grande peso e storia, luoghi di innumerevoli memorie, luoghi che risuonano di sofferenza umana e dignità”.
La sua visione deriva da una grande certezza: il potere dell’immagine fotografica risiede precisamente nel non visto, nel non-detto, al di là del contesto del fatto. Al pari della poesia, le fotografie – scrive ancora Federico Busonero – “sono in primo luogo tracce, ricordi di esperienze. Esse sono evocative, piuttosto che narrative. Nell’apprendere quello che ci comunicano, scopriamo che in esse esistono altre possibilità”.
Federico Busonero è nato e cresciuto a Grosseto, da molti anni vive negli Stati Uniti ma le sue radici toscane sono profondamente vive dentro di lui e lo hanno permeato nella lettura e misurazione dello spazio, nella ricerca dell’armonia e delle proporzioni.
In una “vita precedente” ha lavorato come medico sia in Africa che in Medio oriente e poi come medico di bordo sulle navi. Numerosi sono i riconoscimenti e le pubblicazioni che accompagnano la sua attività professionale e di ricerca ma, sicuramente, questo libro sulla Palestina rappresenta il suo testamento visivo, l’oggetto in cui il suo personalissimo sguardo riesce a riappropriarsi di una sottile dimensione psichica, sebbene l’iter progettuale rimanga rigorosamente all’interno di una lettura dello spazio che esalta l’aspetto descrittivo della fotografia.
Le sue immagini sono caratterizzate da una fisicità molto forte, derivante dall’uso del medio formato, dalla scelta di usare una notevole profondità di campo e una luce morbida, poco contrastata, che evidenzia la qualità dei dettagli. Ci portano – come scriveva Matilde Serao – “sotto il gran cielo di Palestina, cielo di un azzurro così tenero che va nel bianco” ma hanno anche una qualità “altra” che deriva dalla capacità del fotografo di sentire, di attendere una “certa luce” capace di esaltare la “sacralità” del paesaggio palestinese, la sua identità profonda minata e resa fragile da rovine abbandonate, luoghi distrutti dal conflitto, paesaggi desertificati perché non più coltivati e curati dalla mano dell’uomo.
Tracce della storia passata e recente, indizi di un’avvenuta frattura si intrecciano infatti nelle immagini di Federico Busonero; resti di insediamenti romani, delle conquiste arabe e delle comunità cristiane coesistono assieme a frammenti che ci dicono dell’occupazione israeliana, della realizzazione di “infrastrutture” connesse alla creazione del muro, dell’abbandono delle tradizionali pratiche agricole a favore di una cementificazione selvaggia nei territori occupati, della quotidianità e della contemporaneità.
Nonostante questa frammentarietà, questa incoerenza, nonostante la follia umana, l’identità di questa sacra terra – che è la Palestina – rimane e si impone allo sguardo e alla coscienza perché persiste l’anima del luogo, perché ancora gli dei non l’ hanno abbandonata del tutto.
Il merito profondo delle fotografie di questo autore sta dunque nell’equilibrio che riesce a stabilire fra bellezza e criticità, tra forma e contenuto, tra interpretazione e storia senza cadere mai nella decorazione e nell’estetizzazione. Sta nell’usare la fotografia come sguardo indagatore, come strumento che non trasmette verità ma può rivelare la via per raggiungerla.
La mostra:
FEDERICO BUSONERO | THE LAND THAT REMAINS
Fondazione OCRA – Officina Creativa dell’Abitare
Via Boldrini 4, Complesso di Sant’Agostino – Montalcino (SI)
18 ottobre – 8 novembre 2019
lun – ven: 10 – 18
ingresso libero
Il libro:
Federico Busonero
The Land That Remains
Hatje Cantz, 2016
11 ottobre 2019