Lo sguardo di Gianni Fiorito tra fotogiornalismo e foto di scena

- NAPOLI 1 LUG 2022 - Volti di Napoli Gianni Fiorito, fotografo. Foto di Riccardo Siano
di Luca Sorbo

Gianni Fiorito è tra i principali fotografi di scena in Italia. Vive negli anni Settanta del Novecento le tensioni sociali di Napoli, soprattutto durante l’amministrazione di Maurizio Valenzi, e sente il bisogno di impegnarsi per il cambiamento della città. Crede che la fotografia possa essere uno strumento utile per questo scopo.

Dopo aver lavorato come fotogiornalista per 20 anni, nel duemila, decide di dedicarsi alla foto di scena. Le sue immagini sono sempre riconoscibili, perché pur rispettando sempre il lavoro del regista, ha sviluppato uno sguardo autoriale, grazie alle tante esperienze intellettuali che ha vissuto. Il suo fotografare sa coniugare ricerca formale e contenuto essenziale.

Napoli, 01/6/90 – Proteste per l’acqua nera in Largo Sant’Erasmo

Come è nato il tuo interesse per la fotografia?

La fotografia è stata più una scelta etica che professionale. Venivo da anni divisi fra studio ed impegno politico, fotografare è stato il mezzo per denunciare le tante storture che vedevo intorno a me. La mia prima esperienza professionale fu il 23 novembre del 1980, il disastroso terremoto dell’Irpinia. Ero da pochi giorni entrato a far parte dell’agenzia fotogiornalistica Alfa Press e mi trovai catapultato a documentare quella tragedia. La prima cosa che compresi è che il fotogiornalismo era raccontare una storia, anche con una singola foto. Il lettore doveva essere colpito dall’immagine, fermarsi a leggere l’articolo e tornare a riguardare la foto alla ricerca degli elementi del racconto che stava leggendo.

Quali sono state le altre tue esperienze?

Mi sono subito confrontato con la complessità di Napoli. Manifestazioni, cronaca nera, degrado sociale sono state le realtà che ho provato a documentare.

Ma gli anni ’80 dello scorso secolo per Napoli furono anche anni di un intenso fermento culturale: teatro, musica, fotografia, arte contemporanea, linguaggi diversi che si mischiavano e dialogavano fra loro. Seguire e documentare questo fermento, a volte partecipare alla sua realizzazione, è stata una fonte di ispirazione del mio lavoro.

 

Napoli, 24/07/1981, Castel dell’ovo, il Teatro Potlach in “Parata”

Quali sono stati i tuoi riferimenti culturali? In particolare ricordo la tua foto del 1982 che riprende durante una manifestazione il sindaco Maurizio Valenzi con Antonio Bassolino e tutto il gruppo dirigente del PCI e che mi hai detto che nello scattarla ti sei ispirato al quadro di Pellizza Da Volpedo Il terzo Stato.

Devo ringraziare i miei genitori, in casa c’erano decine di libri sull’arte antica e rinascimentale, ogni settimana sfogliavo settimanali illustrati come Tempo, Epoca, l’Europeo. Si andava al cinema regolarmente, ho un ricordo indelebile di quando, a nove anni, in una sala strapiena vidi “2001. Odissea nello spazio” di Kubrik. Ma anche a teatro, la visione di “Masaniello” di Porta e Pugliese con le musiche di De Simone in un tendone da circo a piazza Mercato a Napoli, visto a quindici anni sempre con i miei genitori, mi aprì letteralmente la testa. Mi sono nutrito di immagini, un bagaglio iconografico a cui attingere, a volte anche inconsciamente, nella composizione poi di una immagine fotografica. Nella foto di Valenzi e Bassolino del 1982, che hai ricordato, scelsi di usare un teleobiettivo per fotografare il corteo dei lavoratori dell’Italsider con alla testa il sindaco di Napoli, ottenendo, con l’effetto di schiacciamento tipico del teleobiettivo, l’enfatizzazione della massa e di chi era alla sua testa, un omaggio voluto al quadro di Pellizza Da Volpedo.  In quel caso la difficolta più grande fu di riuscire a ripulire tutta l’area davanti al corteo di colleghi, manifestanti e servizio d’ordine, cosa che mi costò cinque minuti di urla e improperi verso tutti…

Ci racconti qualche aneddoto legato alla cronaca nera?

Penso ad un delitto di camorra in cui in un agguato viene ucciso un bambino di due anni. Durante il corteo funebre, salgo al primo piano di un palazzo, e da un balcone riesco a riprendere lo strazio della mamma. È importante capire in anticipo cosa può accadere e decidere cosa e come vuoi fotografarlo.  A Napoli negli anni Ottanta fu istituita una squadra speciale di trentasei uomini per la cattura dei latitanti. Io ebbi la possibilità di seguirli durante alcune operazioni. Quasi tutte queste foto furano pubblicate sui settimanali OGGI o GENTE. Giornali generalisti con copertine dedicate alle dive del momento, ma in cui il primo terzo del giornale era dedicato alla cronaca settimanale anche con reportage sociali di grande spessore. Dalla prima metà degli anni ’90 questa impostazione iniziò a cambiare e la realtà sociale gradualmente a scomparire da questi giornali lasciando spazio unicamente al gossip. Tant’è che molti di quelle testate sono scomparse: Epoca, Tempo, L’Europeo, La Domenica del Corriere. E’ difficile non collegare questa trasformazione dell’informazione all’avvento della televisione privata e ad una nuova epoca politica che ha visto in Silvio Berlusconi il suo esponente più importante.

Perché hai deciso di abbondare il fotogiornalismo?

La trasformazione dell’informazione che ho appena descritto mi poneva in un evidente difficoltà, visto che le tematiche a me più care avevano sempre meno uno spazio editoriale. Ma un evento probabilmente decisivo è stato seguire il G8 a Genova nel 2001. A G8 terminato e dopo una giornata infernale trascorsa fra cariche della polizia e lanci di lacrimogeni, ero a cena con due colleghi quando ci avvisarono telefonicamente dell’irruzione della polizia nella scuola Diaz. Corremmo sul posto e fuori al cancello attesi che la scuola fosse sgomberata per poter entrare. Fui fra i primissimi a farlo, l’aria impregnata dell’odore del sangue mista a sudore, l’odore della violenza, la scuola devastata. Pensai al Cile di Pinochet, alle stanze della tortura di via Tasso a Roma. Ebbi l’impressione di trovarmi in un contesto completamente fuori controllo. Un luogo dove erano stati calpestati tutti i valori in cui credevo e che mi erano state insegnati. È una storia ampiamente documentata con fotografie, video, testimonianze, ma che è rimasta colpevolmente impunita, una ferita aperta, quindi infetta. Una sconfitta evidente anche per il mondo dell’informazione italiana.

 

Napoli, 08/07/1994 – Il footing mattutino di Bill Clinton in Via Caracciolo durante i giorni del G7

Ci parli dei tuoi libri Come Eravamo e Bagnoli?

Come eravamo è una selezione di immagini frutto del mio lavoro di fotogiornalista a Napoli, una mia riflessione sulla storia della città dal 1980 al 2001. Bagnoli, cronaca di una trasformazione invece, è un reportage sull’area della fabbrica Italsider a partire dall’inizio della sua dismissione, documenta l’abbattimento della fabbrica con la trasformazione del territorio e il riverbero che lo smantellamento e l’attivismo degli operai ha riversato su gli abitanti del quartiere con un coinvolgimento socio-culturale volto ad immaginare il futuro dell’area.

Deluso dalla società e dal fotogiornalismo decidi di occuparti di fotografia di scena. Come avviene questo cambiamento?

Come ho già raccontato il cinema è un’antica passione, e la scena teatrale era stata negli anni ’80 un terreno fecondo della mia attività di fotografo. Nel mio stato di riflessione sulla crisi del fotogiornalismo attingendo a queste passate esperienze ho rivolto lo sguardo al mondo della produzione cinematografica riuscendo ad avere una prima esperienza nel 1999 sul set del film Appassionate di Tonino De Bernardi. Questo primo lavoro fu molto apprezzato e conseguentemente fui richiamato, dalla stessa produzione, su successivi progetti, aprendo una via che ho poi percorso con convinzione. Credo che in questo percorso sia stato fondamentale il mio approccio da fotoreporter al set. La mia capacità di interpretare la scena cinematografica, di raccontare il lavoro dell’attore, del regista e di tutte le maestranze. Per me la qualità principale di un fotografo è sempre la sintesi. La sua abilità di racchiudere in un piccolo rettangolo un’intera storia.

Portici (NA), 2004 – Reggia di Portici, set del film “Fuoco su di me” di Lamberto Lambertini. Nella foto Murizio Donadoni.

 

Set del film “L’AMORE BUIO” di Antonio Capuano. Nella foto Antonio Capuano.

Ci racconti un aneddoto sulla tua esperienza di foto di scena?

Set di Il divo di Paolo Sorrentino. C’è Toni Servillo truccato da Andreotti steso in un letto con alle spalle un quadro raffigurante Marx. Approfittando di un tempo morto in attesa del ciak chiedo a Toni di guardarmi in macchina e realizzo un suo ritratto. In attesa che i macchinisti finissero di montare un binario Servillo mi chiede di vedere la foto, gli piace moltissimo e (fra il mio imbarazzo) inizia a chiamare a gran voce Sorrentino chiedendogli se, nel film, ci fosse quell’inquadratura. Paolo si avvicina guarda la foto e poi, sorridente, rivolto a Toni gli ricorda che il cinema è orizzontale e non verticale.

 

Set del film “IL DIVO” di Paolo Sorrentino. Nella foto Toni Servillo.

Quale è la destinazione delle foto di scena?

La foto di scena serve principalmente per la promozione del film. Inizialmente la ricaduta era specialmente sulla carta stampata, oggi è prevalente l’uso di gallerie fotografiche sul web o la pubblicazione delle foto sulle tante piattaforme social. Poi ovviamente resta l’uso per i manifesti, locandine, brochure per i festival e rassegne cinematografiche. Nel caso di particolari sviluppi legati al successo del film la realizzazione di libri o di mostre.

Quale è la principale differenza tra il mestiere di fotogiornalista e di fotografo di scena?

La principale differenza è che da fotoreporter ero abituato a svolgere il mio lavoro in totale solitudine. Il cinema è un lavoro collettivo, il set è un luogo dove sei in contatto costante con tantissimi professionisti con i quali lavorare a stretto contatto tenendo sempre presenti le loro esigenze e stando attenti a non intralciare il loro lavoro. Anche se ho una mia autonomia bisogna sempre rispettare il lavoro di tutti. Anche in questo aspetto la mia passata esperienza mi ha fornito gli strumenti giusti, la capacità di socializzare, di entrare in empatia con i soggetti dei miei reportage mi ha fornito gli strumenti comunicativi che ho riversato sui set. Instaurare dei buoni rapporti permette di sviluppare uno spirito collaborativo fondamentale quando, per esigenze di spazio, si finisce per dividere un metro quadrato con un microfonista, un attrezzista, un aiuto operatore, o altri. Ancora più necessario è sviluppare un rapporto con gli attori, il principale soggetto delle foto di scena. Ma la principale capacità è rendersi invisibili, riuscire a fare diventare la propria presenza impercettibile, riuscire a non disturbare il magico equilibrio che si produce quando si batte il ciak e la scena si compone.

Set del film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino. Nella foto Toni Servillo.

Ricordiamo solo le principali collaborazioni professionali che hai avuto ed alcuni dei riconoscimenti che hai ricevuto come fotografo di scena?

Al momento ho seguito più di ottanta produzioni fra film e serie tv. Sono stato il fotografo di scena di quasi tutti i film e le serie tv di Paolo Sorrentino. Poi Benvenuti al sud di Luca Miniero con cui ho collaborato su altri quattro film, L’intrusa e Ariaferma di Leonardo Di Costanzo, Fuoco su di me Lamberto Lambertini, Mare nero di Roberta Torre, La Criptonite nella borsa e Il bacio di Ivan Cotroneo, Napoli Velata di Ferzan Ozpetek, Passione di John Turturro, ho seguito serie tv di successo come Capri e Gomorra. Più volte sono stato designato come miglior fotografo di scena italiano col premio CliCiak organizzato annualmente dal Centro Cinema Città di Cesena.

Ho realizzato numerose mostre con i miei lavori sia in Italia che all’estero, spesso con la curatela di Maria Savarese. Ricordo per tutte quella a Camera, Centro Italiano per la Fotografia di Torino sul cinema di Paolo Sorrentino.

Sul sito www.giannifiorito.it  sono segnalate tutte le pubblicazioni, tutte le collaborazioni e vi sono anche alcuni reportage di fotogiornalismo del fotografo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *