di Dario Orlandi
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Con il progetto Diva, nessuno ha il diritto di essere se stesso Alice Pastorelli è una delle due fotografe premiate per il miglior portfolio al Photolux Festival 2018.
Dopo gli studi in marketing della moda, Alice, 26 anni, ha aperto uno studio di fotografia nel suo paese natale di Sesto Fiorentino, alle porte di Firenze, sviluppando contemporaneamente il suo interesse per la fotografia documentaria.
Diva. Nessuno ha il diritto di essere se stesso è il suo primo progetto a lungo termine, iniziato a maggio del 2018 ed ancora in fase di produzione.
Presentato alle letture portfolio del Photolux 2018, è stato premiato dalla giuria con la seguente motivazione: “Un viaggio nel tempo, uno sguardo intimo su relazioni e rapporti umani. La vicinanza personale con il protagonista del racconto si traduce in una serie di immagini che compongono un progetto in divenire. La convinta e difficile scelta personale viene narrata da Alice con consapevolezza e rispetto, lontana da stereotipi e vicina al concetto di dignità della persona.”
Abbiamo incontrato Alice per parlare del progetto, ancora inedito, grazie al quale è stata premiata.
Di cosa parla “Diva”?
Il progetto racconta la vita di Francesco, 26 anni, un ragazzo queer di Sesto Fiorentino che ha deciso di vivere manifestando apertamente aspetti femminili nella propria quotidianità. Il protagonista della mia storia, che ha affrontato di recente un grave problema di obesità, è un artista eclettico: è un cantante professionista, un make-up artist e un performer.
Il progetto parla del coraggio di vivere la propria individualità nella realtà di una cittadina di medie dimensioni ed è costituito da immagini della vita del protagonista e del mondo intorno a lui; oltre alle fotografie sto registrando anche materiale sonoro e interviste per una futura installazione del progetto.
Parlaci del titolo del progetto.
“Diva” è il titolo, “Nessuno ha il diritto di essere se stesso” il sottotitolo.
“Diva” è la coscienza di sé, l’autostima, “Diva” è Francesco. Poi c’è il resto del mondo in cui “nessuno ha il diritto di essere se stesso”. Quanti di noi hanno il diritto di essere se stessi?
“Diva” e “Nessuno ha il diritto di essere se stesso” sono gli aspetti opposti della stessa realtà.
Come hai pensato di occuparti di questa storia?
Vivo nella stessa cittadina di Francesco e conosco le dinamiche del luogo. Avendo viaggiato molto, ho potuto constatare come rispetto ad altri posti più aperti, qui ci sia ancora una certa chiusura. Francesco è la testimonianza del fatto che la diffidenza e il pregiudizio possono essere affrontati a testa alta: quello che spaventa le persone è il coraggio di essere se stessi nel modo più puro.
Il progetto parla di un coraggio del quotidiano che probabilmente è il più difficile da tirare fuori.
Come hai conosciuto Francesco e come hai costruito un rapporto di fiducia con lui?
Siamo amici di lunga data, abbiamo frequentato le scuole elementari e medie insieme; anche allora ci legava un animo artistico! Poi non ci siamo visti per 10 anni. Lo scorso maggio l’ho contattato, ci siamo visti e aggiornati sul tempo trascorso. Dopo qualche tempo gli ho chiesto il permesso di realizzare un lavoro fotografico sulla sua storia.
La fiducia che ci lega è nata lentamente e parlando sempre con franchezza: ho sempre cercato di capire, di non giudicare, di rispettare una vita delicata ma forte.
La storia che stai raccontando è ampia e complessa: la tematica queer, i rapporti con la sorella e la famiglia, l’obesità, l’animo artistico, il rapporto con la religione. Come hai deciso di organizzare il tuo lavoro? Come si struttura un lavoro su di una realtà così ampia?
Ho seguito l’istinto aiutandomi con quello che ho immagazzinato in dieci anni di esperienza fotografica costruita arricchendo il mio bagaglio visuale con ogni mezzo possibile, dalle mostre ai magazine.
Il primo istinto è stato quello di seguire Francesco con un reportage diretto; anche adesso quando sono con lui ho sempre la macchina fotografica con me.
Ora che il progetto è più maturo stiamo organizzando alcune sessioni staged, sempre connesse alla storia, individuate grazie alle nostre conversazioni.
Portando avanti questo lavoro, ti sei fatta un’idea sulla reale possibilità di Francesco di manifestare liberamente la propria natura? Qual è la riposta del contesto: accetta, ignora, discrimina?
Ho riscontrato sia accettazione che discriminazione. Ho trovato a sostenere Francesco persone che non avrei mai immaginato; e poi le solite situazioni di paese: ci guardano per strada, quando entriamo nei posti la gente si zittisce, talvolta abbiamo ricevuto anche delle offese. Lui soffre di questo, ma ha la capacità di reagire, pensando che in fondo il problema è di chi aggredisce.
Quando pensi sia importante il lavoro di un fotografo documentarista nel portare alla luce questo tipo di storie e quanto pensi che questo tipo di lavori possa contribuire a modificare la percezione e le reazioni delle persone?
Viviamo in un momento in cui l’immagine è al centro di tutto, la iperesponiamo, dovremmo quindi esserne molto padroni.
Rilevo invece molto disagio intorno al tema dell’immagine personale, ho l’impressione che in molti la espongano come una grande recita.
Per questo è importante che quando un artista, un giornalista, un fotografo entra in contatto con persone che vivono a fondo la propria identità mostri come si viva meglio nella sincerità, piuttosto che nella costruzione di un una realtà fittizia.
Credi dunque nella possibilità della fotografia di “cambiare il mondo”?
Di cambiare il mondo forse no, ma credo nella possibilità della fotografia di creare dei momenti di riflessione. Magari una volta sono cinque minuti, poi diventa mezz’ora, in qualche anno raggiungi ventiquattro ore dedicate a pensare a qualcosa di sensato.
E così la tua mente progredisce e si allarga, anche grazie alla fotografia.
Fotografie: © Alice Pastorelli
10 dicembre 2018