di Dario Orlandi
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Con Espinar, Broken Land l’italiano Alessandro Cinque è fra i 12 finalisti del W. Eugene Smith Memorial Fund grant, uno dei più prestigiosi concorsi internazionali dedicati alla fotografia documentaria. Il premio è aperto a progetti avviati ma non ancora terminati; al vincitore la fondazione offre le coperture necessarie per completare il lavoro.
In attesa della premiazione che si terrà il prossimo 17 ottobre a New York, abbiamo incontrato Alessandro per farci raccontare la storia con cui è stato selezionato e come intende portarla avanti in futuro.
Di cosa parla “Espinar”?
Il progetto prende il nome da una provincia meridionale del Perù dove alla tradizionale attività agricola si è sostituita negli ultimi decenni quella estrattiva, gestita da multinazionali straniere con ripercussioni molto gravi sul territorio e sulle popolazioni indigene.
La aziende minerarie, dopo aver ricevuto le concessioni da parte del governo centrale, acquistano i terreni dai contadini allettati dalla possibilità di un rapido guadagno e da promesse di lavoro e servizi alla comunità il più delle volte poi disattesi. Finito il denaro, agli agricoltori ormai privi dei loro terreni non resta alcuna possibilità di lavoro su di un territorio inaridito, contaminato dai residui dell’attività mineraria e sul quale hanno cominciato a diffondersi malformazioni e malattie legate all’inquinamento.
Come è nata l’idea del progetto?
Sono venuto a conoscenza dei problemi legati all’estrazione di rame in Perù durante il mio primo viaggio in Sud America nel 2017 e ho sentito subito un forte interesse personale per la questione.
Ho contattato un’antropologa italiana che si occupa del tema, grazie alla quale sono entrato in contatto con un giornalista peruviano che mi ha aiutato ad approfondire il problema e a pianificare le mie successive ricerche fotografiche.
Quante volte sei stato in Perù?
Quattro: durante i primi 3 viaggi (nel 2017, 2018 e nella primavera del 2019) mi sono concentrato sulla zona di Espinar, che dà il nome alla prima parte del progetto.
Sono poi tornato ad agosto del 2019 per allargare lo sguardo a tutto il corridoio minerario che, partendo dalla miniera di Las Bambas nella regione di Apurimac, attraversa la provincia di Espinar (siamo nella regione di Cusco, poco a sud dell’omonima città) fino a raggiungere il porto Matarani nella regione di Arequipa, sul Pacifico. Ogni giorno dal corridoio passano circa 1500 camion che trasportano il 40% del rame estratto in Perù, secondo produttore mondiale del prezioso metallo. Nell’area della miniera di Las Bambas – dove l’estrazione di concentrato di rame è iniziata nel 2015 – non si vedono ancora gli effetti dannosi di lungo termine evidenti ad Espinar, ma si assiste già al diffondersi di quelli di breve corso: degrado urbanistico, diffusione della prostituzione e delle malattie a trasmissione sessuale, crollo del mercato turistico e delle attività agricole a causa della contaminazione del suolo.
Quali sono le prossime tappe che hai in mente?
Ho intenzione di trasferirmi a Lima a febbraio 2020 per continuare il progetto documentando la zona mineraria di Cerro Verde, altra tappa chiave del corridoio minerario. In parallelo ho in programma di documentare gli andamenti della precaria situazione politica del Paese e la controversa posizione del governo peruviano rispetto alle attività estrattive sul proprio territorio.
Gli ultimi anni sono stati per te ricchi di importanti riconoscimenti: sei stato Leica Ambassador, hai vinto un “award of excellence” al POYI nel 2018 e il primo premio nello stesso concorso del 2019 per la Issue Reporting Picture Story. Adesso sei approdato alla finale del più prestigioso grant mondiale per la fotografia documentaria: cosa rappresenta per te questo traguardo?
Essere arrivato in finale all’Eugene Smith, che ha premiato negli anni quelli che da sempre considero i miei modelli nel mondo del fotogiornalismo, è ovviamente motivo di grande soddisfazione. La cosa che tuttavia mi ricompensa in modo particolare è la possibilità di dare voce alle popolazioni indigene i cui diritti vengono spesso dimenticati dallo stato peruviano e violati dalle aziende minerarie.
Fotografie: © Alessandro Cinque
3 ottobre 2019