di Claudia Stritof
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“Se ogni strumento riuscisse a compiere la sua funzione o dietro un comando o prevedendolo in anticipo, i padroni non avrebbero bisogno di schiavi.” Così scriveva Aristotele nel IV secolo a.C.: un pensiero riferito a una società lontana dalla nostra, ma che sembra profetizzare lo sviluppo tecnologico avvenuto in seguito: basta pensare all’inaugurazione nel 2015 dell’Henn-na Hotel in Giappone, gestito quasi interamente da robot.
Al giorno d’oggi, non si parla più di essere online/offline, ma di fatto la continua interazione tra realtà analogica e realtà virtuale ha creato un habitat in cui siamo costantemente connessi, ecco perché il professore di filosofia ed etica delle informazioni dell’Università di Oxford, Luciano Floridi, ha coniato il neologismo, onlife.
Il venir meno della cesura tra analogico e digitale ha interessato diversi ambiti disciplinari, da quello scientifico a quello letterario, senza dimenticare che, già nel 1956, la mostra londinese This is Tomorrow sottolineava come la nascita della società dei consumi avrebbe modificato gli stili di vita e profetizzava un futuro in cui robot e umani avrebbero convissuto. Non a caso l’immagine posta all’ingresso dell’esposizione ritraeva Robby, robot del film Il pianeta Proibito, il primo della storia del cinema a rispettare le tre leggi della robotica di Isaac Asimov.
La tecnologia ha fatto progressi inimmaginabili fino a qualche tempo fa e robotica, cyborg e intelligenza artificiale sono campi in continuo divenire.
A fare il punto della situazione è il fotografo svizzero Mathieu Gafsou nella serie H+, abbreviazione del termine Transumanesimo, “un movimento culturale che si dà come obiettivo quello di migliorare le performance cognitive, psichiche e fisiche dell’uomo attraverso l’utilizzo della scienza e della tecnologia.”
Un racconto le cui diramazioni di approfondimento sono molteplici, ragion per cui il fotografo non esista a dare puntuali riferimenti visivi e testuali, i quali risultano essere importanti per comprendere le complesse teorie che animano tali studi.
Il percorso conoscitivo, diviso in sei atti, inizia nel XVIII secolo, infatti, Gafsou ritrae uno dei primi corsetti usati per curare disfunzioni della postura dal medico svizzero Jean-André Venel, per poi passare ai respiratori polmonari o alle incubatrici, fino a giungere – alla fine del primo atto – ai contemporanei braccialetti usati per la misurazione dei parametri fisiologici.
Tra i campi di applicazione di tali tecnologie non solo quello medico, ma anche il settore estetico, che fa uso di interventi chirurgici per migliorare le imperfezioni corporee, oppure il campo militare, infatti la DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), sta lavorando a un esoscheletro ritenuto in grado di trasformare un soldato in un uomo potenziato.
I transumanisti “affermano che […] corpi apparentemente sani sono malati e imperfetti e che […] protesi chimiche o integratori alimentari, possono essere un mezzo per raggiungere la perfezione.”
Come sottolinea Gafsou, i nootropi, anche noti come smart drugs e smart nutrients, sono sostanze che aumentano le capacità cognitive dell’essere umano e oltre agli usuali integratori, molto diffusi sono anche gli “alimenti totali”, sostitutivi del cibo che mirano a preservare l’integrità del corpo.
Secondo la definizione data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia o infermità”; una definizione che rende labile il confine tra riparazione di un corpo danneggiato e il miglioramento di uno sano.
Protesi terapeutiche o pacemaker sono solo alcuni dei dispositivi volti a migliorare le condizioni di salute degli individui; ma le cose si complicano quando Gafsou introduce la figura di Ray Kurzweil, direttore esecutivo tecnologico di Google e autore, tra gli altri importanti contributi, di The Singularity is Near, un testo in cui il guru del transumanesimo prevede che la singolarità tecnologica si verificherà durante la prima metà di questo secolo, permettendoci di migliorare i nostri corpi e le nostre menti attraverso la tecnologia.
“Se fossimo macchine, avremmo il dono dell’eternità”, scrisse Douglas Coupland nel 1995, ma prima di addentrarci in questo importante capitolo, i passaggi da compiere sono altri, per comprendere come l’approccio a tali dispositivi sia diventato sempre più totalizzante.
Gafsou evidenzia come il lancio sul mercato del primo iPhone nel 2007 abbia avuto un ruolo fondamentale nell’aumentare la nostra dipendenza dalle macchine, tanto che oggi consideriamo gli smartphone vere e proprie protesi di memoria, di cui non vogliamo fare a meno.
Dai dispositivi esterni, passando alla realtà virtuale, per giungere agli impianti sottocutanei il passo è breve, e nel manifesto del body hacking, l’artista Lukas Zpira, afferma: “gli attivisti praticano, teorizzano e inventano modifiche futuristiche del corpo […] rese possibili dalla costante curiosità sulle scoperte tecnologico-mediche.”
Il corpo può e deve essere potenziato: Julien Deceroi ha inserito nel dito un magnete così da sviluppare un nuovo senso, molte persone indossano microchip sottocutanei per archiviare e recuperare dati remoti; Neil Harbisson, affetto da daltonismo, ha una protesi che converte i colori in onde sonore e il professor Kevin Warwick, chiamato Captain Cyborg, è noto per i suoi studi sulle interfacce dirette tra sistemi informatici e il sistema nervoso umano.
Smaterializzato il labile confine tra reale/virtuale, il cammino verso l’immortalità sembra essere più vicino e un discorso sul Transumanesimo non sarebbe completo se non citassimo The Prospect of Immortality, testo del 1962 scritto dal professore Robert Ettinger, che iniziò a occuparsi di ibernazione nel 1948. Ettinger si propone, attraverso l’ibernazione, di liberare l’uomo dalle restrizioni che il corpo biologico impone, in attesa del giorno in cui la scienza potrà risvegliare gli uomini dal sonno eterno, curandone i mali e donando loro nuova vita attraverso la tecnologia.
L’ultima foto della serie H+ ritrae due identità di luce, immateriali nel loro essere, concrete nella matericità del ritratto. Osservandola vengono in mente le parole scritte nel 1859 dal medico Oliver Wendell Holmes, quando si interrogava sulla natura delle immagini. Come nota lo studioso Giovanni Fiorentino, Holmes compie una lunga riflessione che risale al mito di Marsia, pastore che sfidò Apollo nell’arte del flauto, ma sconfitto, venne scorticato vivo dalla divinità, poiché nella sua personale interpretazione “il pastore perde il corpo, ma acquista essenza pellicolare. Apollo, divinità solare, lo priva della materialità corporea per donargli la vita eterna, fatta di luce.”
Con la nascita della fotografia stereoscopica Holmes notava come “saremmo condotti troppo lontano se sviluppassimo le nostre considerazioni sulle future trasformazioni che potranno essere determinate dal più grande successo dell’uomo: il divorzio della forma dalla materia.”
Holmes non poteva immaginare quali sarebbero stati i progressi compiuti, ma certamente, alla metà dell’Ottocento, il medico aveva già intuito il punto nodale di importanti riflessioni future.
Dal progetto è stato realizzato il libro: Matthieu Gafsou, H+ Transhumanism(s), Kehrer Verlag, 2018.
La serie completa è visibile sul sito web di Matthieu Gafsou o su quello del collettivo MAPS.
9 luglio 2020