di Daniela Mericio
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I mille volti del corpo umano e i diversi modi di mostrarlo e raffigurarlo. Pubblicato da Einaudi nella collana Grandi Opere, Il corpo nella fotografia contemporanea esplora la relazione dell’epoca attuale con il nostro “involucro”, attraverso la sua rappresentazione in fotografia. La curatrice Nathalie Herschdorfer, direttrice del Museum of Fine Arts di Le Locle, in Svizzera, dopo lunga ricerca ha raccolto le 360 immagini del libro realizzate da 175 fotografi (tra cui Nobuyoshi Araki, Bettina Rheims, Lauren Greenfield, Viviane Sassen, Cindy Sherman, Wolfgang Tillmans, Daido Moriyama, Sally Mann, Pieter Hugo, Juergen Teller, Sølve Sundsbø e Daniel Sannwald).
La fotografia ha una forte influenza nella percezione che abbiamo del corpo? Che idea ha del corpo la nostra società?
Siamo circondati da immagini, ne vediamo ovunque. Basta pensare a come consideriamo la bellezza. Tutti vogliono avere un corpo magnifico: dobbiamo essere sani, snelli, attraenti. Questo modello nasce dalle fotografie che vediamo sui giornali, nei media, sul web: le immagini di quelli che consideriamo corpi bellissimi diventano per noi un punto di riferimento e hanno una notevole influenza sul modo in cui trattiamo il nostro corpo.
La fotografia ha sempre avuto un forte interesse per il corpo umano. William Ewing ha esplorato l’argomento nel libro “The Body” pubblicato nel 1994. Il tuo lavoro comincia dove il suo si è fermato, cosa è cambiato negli ultimi 25 anni?
Al giorno d’oggi non pensiamo di dover vivere per sempre con il corpo con cui siamo nati: crediamo che possa essere modificato, in un certo senso “creato”. Possiamo fare più sport per mantenerci in forma, prendere pillole per migliorare il nostro stato di salute o ricorrere con facilità alla chirurgia estetica, che non ha più costi proibitivi. Possiamo sottoporci ai più svariati trattamenti, divenuti talmente comuni che pensiamo di poter cambiare il nostro corpo a piacimento. Un tempo dovevamo convivere con il corpo che avevamo, la novità del XXI secolo è che crediamo che il corpo debba essere migliorato, in modo creativo. È tutto legato alle immagini che vediamo di continuo: il messaggio è che possiamo modificare il nostro corpo e che è molto semplice. È come un sogno. Il XXI secolo è l’era del digitale e la tecnologia ha un forte impatto sulla nostra vita. Basta pensare al modo in cui scattiamo fotografie, a come le condividiamo e le modifichiamo. Si può fare un parallelo interessante: modifichiamo le immagini con facilità e, in qualche modo, facciamo lo stesso con il corpo.
Le immagini del libro mostrano una sorta di dicotomia: il corpo è magnificato, esaltato – un super corpo – oppure torturato, mortificato, alterato…
Sì, sono lavori realizzati da artisti, e gli artisti mostrano anche l’opposto di un corpo glorificato. Perché anche oggi siamo mortali, ci ammaliamo, nonostante la scienza ci spinga a credere che riusciremo a superare i limiti di un corpo mortale. Alcuni fotografi scelgono di rivelare il lato più umano e fragile del corpo. Per noi può essere scioccante, perché siamo abituati a vedere fisici perfetti. Questa fragilità non ci piace, per tutta la vita combattiamo contro la vulnerabilità. Speriamo sempre che, quando invecchieremo o ci ammaleremo, la medicina e la scienza ci aiuteranno a guarire.
Il libro è un lavoro imponente, come hai selezionato le immagini?
In principio ho pensato alle diverse sezioni. Ogni giorno ho a che fare con la fotografia e molti artisti rappresentano il corpo umano. Avevo in mente dei capitoli (costruzioni, glorificazioni, sofferenza del corpo, amore per il corpo, etc.) così ho iniziato a cercare immagini che potessero offrire un punto di vista interessante all’interno di questi macrotemi. All’inizio avevo migliaia di fotografie, poi ho deciso di dividerle in gruppi per valutare meglio il senso. Così ho definito i capitoli e poi ho ridotto la selezione delle immagini.
Alcune sezioni trattano argomenti come “Costruzioni”, “Mutazioni”… lontano da quanto è naturale…
È vero, basta pensare a quanto accade oggi: combattiamo la parte naturale, quella umana e vulnerabile. Viviamo in una società dove domina la scienza, pensiamo che il progresso sia l’obiettivo e che la genetica ci aiuterà a raggiungerlo. La società Occidentale pensa di dover combattere l’aspetto “più umano”. Certo, alcune popolazioni che vivono in luoghi remoti possono avere una visione differente, tuttavia Internet ha creato un mondo globalizzato, simile ovunque. L’avere fede nel futuro e nel fatto che la vita e la salute possano essere migliorate è tipico del genere umano. Non riguarda solo il XXI secolo, è il risultato di una storia molto antica.
Una sezione del libro – “Fisico” – mostra immagini scientifiche, non sono né opere artistiche né di documentazione. Perché hai scelto di inserirle?
Fin da quando la fotografia è stata inventata, nel XIX secolo, è stata utilizzata per scopi scientifici, in medicina. Abbiamo esplorato l’interno del corpo, fotografando le cellule, abbiamo creato i raggi X per esaminare l’interno di un essere vivente. Tali immagini hanno sempre avuto grande rilievo per la ricerca, ho pensato dovessero essere inserite nel libro perché rivelano aspetti significativi sul modo in cui consideriamo il corpo umano. Sono immagini di grande bellezza, quasi astratte. Trovo affascinante che ancora oggi, nel XXI secolo, abbiamo la necessità di realizzare immagini dell’interno del corpo e che, con le nuove tecnologie, abbiamo l’opportunità di ottenere risultati sempre più precisi, di andare più a fondo. L’atlante del corpo umano è ancora in costruzione. Inoltre, la prima immagine che i genitori vedono del proprio bambino, ancor prima della nascita, è il feto nell’utero. È interessante comprendere come le fotografie giochino un ruolo di primo piano nella vita dell’uomo, ecco perché ritengo significa includere la scienza. Inoltre, se si pensa al cancro, ad esempio, stiamo ancora cercando di sconfiggerlo: ai ricercatori servono immagini per conoscere meglio la malattia.
Il capitolo “Alter ego” si concentra sull’autoritratto, che in molti casi oggi coincide con il “selfie”. Quanto la rappresentazione di sé è influenzata dal selfie?
I fotografi professionisti devono considerare che la maggior parte delle immagini prodotte oggi, milioni di fotografie, non sono scattate da loro, il che influenza gli artisti nelle loro scelte. Devono pensare all’incessante flusso di immagini che ci circonda ed è una grande sfida riuscire a creare qualcosa di nuovo. Per scattare foto accettabili di noi stessi non abbiamo bisogno di un professionista, quindi gli autori devono riflettere su come mostrare le cose in modo originale.
Sembra che autori o tendenze recenti cerchino di rappresentare il corpo con un approccio più naturale. È una via d’uscita?
È un modo per fare resistenza, perché oggi è tutto così composto, così ritoccato in digitale, si vedono solo immagini che mostrano corpi perfetti in colori brillanti: tutto ha un aspetto finto. La nuova generazione, però, sta cercando di tornare ad una visione più naturale. Ovviamente, la storia della fotografia è sempre andata di pari passo con la storia della società e molti stereotipi caratterizzano il modo in cui fotografiamo la bellezza femminile o maschile, ma ho la sensazione che le nuove generazioni sentano la necessità di mostrare le cose in modo diverso. L’identità di genere, per esempio: siamo ormai consapevoli che non ci sono solo due sessi. Non è una novità, la scienza lo ha rivelato, ma la fotografia nel passato non lo ha mai fatto. Oggi i giovani scattano fotografie che vanno oltre gli stereotipi: mostrano corpi diversi, c’è maggiore varietà. Ho anche notato che le donne fotografe sono aumentate. Questa arte è stata per lungo tempo dominata dagli uomini, il cui sguardo si è spesso concentrato sul corpo femminile, rappresentato in modo stereotipato, seguendo l’antica tradizione che ha origine nella storia dell’arte. Credo che le donne, quando raffigurano un corpo femminile, o anche maschile, riescano a vedere in modo singolare. È un aspetto nuovo che 50 anni fa non esisteva. C’è spazio per nuove visioni.
C’è un’immagine che consideri un simbolo in relazione al tema trattato nel libro?
C’è un ritratto a colori che mi piace molto, realizzato dall’artista francese Valérie Belin, parte di una serie in cui ha fotografato alcune donne di colore. Nell’osservare l’immagine di questa splendida, giovane donna si può pensare che sia stata altamente ritoccata, come in una pubblicità, ma non è così. Sono fotografie analogiche e le donne sono state ritratte così come apparivano. La fotografa le ha incontrate per caso nel metrò di Parigi e ha chiesto loro di posare per lei in studio. Ma appaiono talmente ritoccate… in realtà sono “ritoccate nella realtà”: sono pesantemente truccate, il colore degli occhi è stato cambiato grazie a lenti a contatto, i capelli sono tinti della stessa sfumatura dei vestiti. Queste donne hanno dei modelli e i loro modelli sono immagini: hanno cercato di ricreare su se stesse qualcosa di simile ai corpi meravigliosi che vedono in fotografia. È tutto molto confuso, si pensa che la fotografia possa restituire un’immagine diversa di noi, ma in un certo senso non ne abbiamo bisogno, siamo capaci di trasformarci da soli. È come se avessimo una maschera e ciò mostra l’impatto delle immagini sulla nostra idea di corpo.
Il libro si chiude con una citazione di Walt Whitman, poeta del XIX secolo: “Se c’è qualcosa di sacro, il corpo è sacro”. È ancora vero oggi?
È molto personale, ma penso che oggi la maggior parte delle persone non creda che il corpo sia sacro. In ogni caso, ciò che è interessante è che il corpo può anche essere considerato alla stregua di una nuova religione. Il corpo umano può essere migliorato in un modo che ci fa avere fede nel futuro dell’umanità… ma non il corpo che possediamo, bensì il nuovo corpo possibile: il prossimo.
Il libro:
Nathalie Herschdorfer (a cura di)
Il corpo nella fotografia contemporanea
Einaudi, 2019
21 ottobre 2019