di Daniela Mericio
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Fotografie dai contorni soffusi, dove le presenze sono sfuggenti, immerse in un tempo indefinito. Lo stato d’animo interiore si impone sulla realtà esterna, trasformandola in una visione tra l’onirico e il fantastico, talvolta inquietante, spesso stupefacente. Sarah Moon, maestra della fotografia contemporanea, è protagonista a Milano di due mostre complementari: Time at work alla Fondazione Prada e From One Season to another all’Armani Silos. Come indicano i titoli, il tempo è dimensione centrale nel lavoro della fotografa francese, è ricordo, memoria, narrazione. Gli scatti lasciano indovinare un prima e un dopo al di là del momento immortalato e lo scorrere del tempo è reso evidente anche dalle tecniche di ripresa e postproduzione utilizzate.
Nata in Francia nel 1941, Marielle Warin cresce in Inghilterra, dove la famiglia si rifugia per sfuggire al nazismo. Negli anni ’60 fa la modella tra Londra e Parigi con il nome Marielle Hadengue prima di passare dall’altra parte dell’obiettivo e di adottare lo pseudonimo con cui oggi è conosciuta in tutto il mondo. Comincia con le fotografie di moda nel 1968 ma ne ribalta il linguaggio, staccandosi dal cliché delle foto brillanti e patinate tipiche del settore, optando per uno stile pittorico e romantico, che matura con gli anni. Crea campagne per grandi firme come Cacharel, Dior, Yamamoto, Comme de Garçons, Issey Miyake. Le immagini, sebbene realizzate in studio, sembrano apparizioni indefinite. Si ispirano alla fotografia del passato e ai sui ritratti di donne sognanti, al pittorialismo del XIX secolo. Dalla metà degli anni ’80 Moon si concentra sempre più sulla ricerca e l’introspezione. Privilegia il bianco e nero, che descrive come il colore della memoria e della finzione. I soggetti, oltre a figure umane fantasmatiche, sono animali, alberi, paesaggi filtrati da una visione personale che poco ha a che fare con la realtà “oggettiva” e che sembra attingere a suggestioni simboliche e dell’inconscio.
Alcune fotografie di moda sono esposte negli ampi spazi dell’Armani Silos: stampe a colori di grande formato, si susseguono sulle pareti insieme a uccelli e still life di fiori. Seducono il visitatore senza aggredirlo, grazie ai toni attenuati, ai colori pallidi e ai contorni sfumati. Le modelle sembrano figure di carta bidimensionali, bambole dall’identità incerta, su cui qualcuno sembra avere applicato gli abiti, quasi per gioco. Figure eteree con il volto spesso nascosto da mani o cappelli, su cui i capi indossati risaltano al meglio, come i vestiti giallo oro o a grandi pois in due celebri foto. Curata dalla stessa Moon, la mostra comprende 170 immagini, dalla metà degli anni ’70 ad oggi: l’ordine non è cronologico, segue un flusso poetico, affiancando al colore stampe in bianco e nero di formato ridotto che appartengono alla ricerca personale dell’artista.
Su quest’ultimo aspetto del suo lavoro si concentra la mostra, più intima, alla Fondazione Sozzani: 90 opere (1995-2018), di cui solo un paio a colori, ci conducono in universo fiabesco, spesso angosciante, fatto di paesaggi cupi, industriali o marini, il cui l’orizzonte sembra delimitare un confine che si affaccia sull’ignoto. Animali sfuggenti, voli di uccelli inafferrabili, scatti di moda con donne velate e misteriose popolano un mondo surreale, in cui gli incubi si alternano ai sogni. Pose lunghe e grana evidente creano atmosfere nebulose. I contorni sono morbidi grazie all’effetto flou (soft focus) che smorza i contrasti, rendendo impalpabile il volto di una modella o le chiome di un albero.
Anche le fotografie più definite sono percorse da giochi di luce, sovraesposizioni e ombre dense. Spesso lacerate da graffi, “sporcate” da chiazze, incorniciate da margini a vista. Manipolazioni che creano un effetto antico, primitivo, a mostrare le impronte del tempo, i segni della decadenza su una materia destinata a svanire. Sembrano vecchie fotografie tirate fuori da un baule polveroso. Come la selezione di Polaroid in mostra, che la fotografa racconta di avere ritrovato in un cassetto, corrose e sbiadite dagli anni. Quelle di Sarah Moon sono immagini imperfette, ma cariche di emotività. Scattate seguendo un’intuizione, ascoltando l’eco di qualcosa viene da dentro. Frutto di coincidenze inaspettate, di un’emozione che incontra la realtà e crea una rappresentazione trasportandola nel campo della finzione. “Non sono capace di fare la reporter” ha ammesso Moon in una celebre intervista.
Sarah Moon è nota anche per i video, i film pubblicitari e documentari. Due sono visibili in mostra alla Fondazione Sozzani: There is something about Lillian (2001), dedicato alla fotografa Lillian Bassman e il cortometraggio Contacts (1995). Anche la doppia esposizione è tra le “magie” utilizzate dall’artista, basta osservare le fotografie di piccolo formato di un’altra serie, Danse, Danse: ogni fotogramma cattura un movimento diverso e la successione delle stampe crea un effetto cinematografico. La fotografia di Sarah Moon cristallizza un istante estraendolo dal flusso temporale, insinuando l’esistenza di una storia che è compito allo spettatore immaginare e che l’artista si limita a suggerire.
Le mostre:
Sarah Moon – Time at work
Fondazione Sozzani, Milano
Fino al 6 gennaio 2019
Tutti i giorni, 10:30 – 19:30 / Mercoledì e giovedì, 10:30 – 21:00
Sabato, domenica e festivi: Ingresso 5 € Ridotto 3 € (6-26 anni)
Ingresso libero da lunedì a venerdì
http://fondazionesozzani.org/it/in-corso/time-at-work
Sarah Moon – From one season to another
Armani Silos, Milano
Via Bergognone 40
Fino al 6 gennaio 2019
Da mercoledì a domenica: dalle 11:00 alle 19:00
https://www.armani.com/silos/it/exhibition/sarah-moon-from-one-season-to-another/
26 ottobre 2018
Conoscevo poco Sarah Moon e solo per le sue foto pubblicitarie di moda. Il vostro bell’articolo peró mi ha molto incuriosita, inducendomi ad andarla a vedere all’Armani Silos. Ebbene, ho scoperto un’artista straordinaria. Come da voi descritto, le sue immagini piú che foto sembrano dipinti. Le figure sono molto studiate, hanno contorni indefiniti e trasmettono una fortissima sensazione di irrealtá. I soggetti sono svariati. Si va dagli scatti di moda, alle immagini circensi, a quelle dedicate ai fiori e al ballo. Ci sono anche dei sumo. Belli i cani che corrono sulla spiaggia, belli e inquietanti i pozzi petroliferi ripresi dietro a un vetro bagnato dalla pioggia, molto suggestivi i fenicotteri. Complice la musica etnica sottofondo, le luci e l’architettura essenziale dello spazio Armani, sembrava di trovarsi in un’altra dimensione. In conclusione: notevole mostra, grande artista e grazie a voi per avermela fatta conoscere nella sua interezza.