di Beatrice Bruni
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“…and that’s how you can tell just where the city ends: not where you can no longer hear the voice of a little girl giggling as she skips, or the screech of tires on asphalt, but where even the reverb of all the non-human devices disappears, those deployed to try to absorb or contain a very human solitude. Where you can hear the sweet holocaust of household appliances.”
Claudia Durastanti, So many voices make up the silence we hear now
La prima volta che mi sono trovata a New York era sera, ero con degli amici e ci incamminammo per cercare qualche cosa per cena. Le luci della strada mi abbagliavano, il caldo mi avvolgeva, gli odori mi aggredivano e i suoni mi apparivano seducenti e lontani. Ero a Manhattan, un luogo che avevo immaginato da sempre. Ero a mio agio, mi sentivo a casa in quella città straordinariamente enorme. Me ne sono innamorata. In un viaggio successivo, un po’ di anni dopo, ho visitato di nuovo New York, e stavolta ero a Brooklyn. Non potevo immaginare che l’amore per quella città potesse diventare ancora più intenso. E invece quei luoghi periferici mi hanno parlato ancora di più, e più a fondo. Facevo lunghe camminate voraci e a ogni passo vedevo qualcosa che mi attraeva, che volevo conoscere meglio, che volevo fotografare, e portare via con me.
New York è costituita da cinque boroughs, cinque distretti: Manhattan, Queens, Brooklyn, The Bronx, Staten Island. Tutti conoscono le immagini iconiche della città, i luoghi celebri e centrali, ma pochi riconoscono la periferia, il perimetro.
Antonio Rovaldi, artista internazionale che vive e lavora tra Milano e New York, ci accompagna alla scoperta di una visione inedita dei confini esterni della città.
Il progetto risuona con un precedente lavoro dell’artista, in cui egli aveva percorso, in bicicletta, tutto il perimetro dell’Italia, fotografando la linea dell’orizzonte. Di questo progetto Orizzonte in Italia, abbiamo già scritto qui: magazine.photoluxfestival.it/antonio-rovaldi-orizzonte-in-italia/
Il lavoro di indagine intorno alla città di New York era al centro anche di una performance che Rovaldi realizzò nel 2009 con l’artista austriaco Michael Hoepfner, quando decisero di camminare lungo una porzione della Broadway per otto ore di fila, uno senza vedere e l’altro senza sentire. Raggiunto Inwood Park, Shorakkopoch per i nativi, stettero seduti su un tronco in ascolto del suono del becco di un picchio, la cui eco si espandeva nel parco e quindi, idealmente, nell’intera città (Shorakkopoch, 2009).
Dal 2016 al 2018 Rovaldi ha camminato concentricamente, da solo, lungo i confini dei cinque boroughs di New York e ha scattato più di 600 fotografie, su pellicola, bianco e nero, medio formato, al limite tra il cemento, le aree verdi, l’acqua, l’oceano, alla ricerca dei luoghi più nascosti, e dei segni ancestrali che descrivono l’autentico volto della città.
Il camminare come pratica estetica: l’artista restituisce una descrizione intima e poetica di una città che manifesta nei margini la sua più segreta natura, riecheggiando antiche civiltà. Una volta lì vivevano gli indiani, e certa toponomastica lo ricorda ancora.
Le fotografie di Rovaldi raccontano di alberi e grandi spazi, di oggetti abbandonati a terra, di immensi prati incolti, di cemento che mostra i segni del tempo, di frammenti di carta strappata, catrame, edifici di mattoncini, reti metalliche, e di nuovo segni, segni ovunque. L’immensità e il vuoto, il cambiamento e insieme la staticità. Si può udire il silenzio, il suono lontano della città, e anche quello delle oche canadesi, che qui depongono le uova. Suoni gentili che suscitano meraviglia e gratitudine.
Da questo lungo percorso a piedi sono scaturiti una poderosa pubblicazione, The Sound of The Woodpecker Bill: New York City, edito da Humboldt Books, 2019, e due mostre: la prima al dipartimento GSD di Harvard, architettura del paesaggio, dal titolo End. Words From The margins. New York City, realizzata nel novembre 2019, e Il suono del becco del picchio, nel febbraio 2020, alla GAMeC, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo.
L’intero progetto è stato promosso dalla GAMeC in partnership con il dipartimento GSD di Harvard e sovvenzionato grazie al Premio Italian Council per l’arte italiana (2019).
Un libro denso e ricchissimo, diviso in cinque capitoli, uno per ognuno dei cinque distretti, che, fin dalla copertina, suscita un interesse quasi ipnotico: cerchi concentrici, color verde acido, come quelli che si formano in acqua quando si lancia un sasso. Il riferimento è a una vecchia fotografia di Gino De Dominicis, “Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno ad un sasso che cade nell’acqua”.
Un libro dettagliatissimo: sono registrati con precisione i luoghi visitati, riportati i taccuini di lavoro, le mappe della città segnate dalle scritte e dall’uso, l’elenco dei rulli di pellicola utilizzati, con il loro numero di riferimento, e anche le date, con i luoghi e i soggetti ritratti.
Per la realizzazione del libro, l’artista si è avvalso della collaborazione di alcuni autori che hanno contribuito con testi biografici.
La scrittrice Claudia Durastanti arricchisce il libro con un testo intenso dal titolo So many voices make up the silence we hear now.
Molto interessante anche Beginning at The End, il contributo di Steven N. Handel, professore universitario di botanica ed esperto di ecologia conservativa: a partire dalla sua infanzia all’estrema periferia della città, quando osservava i semi dell’acero cadere dalle piante in primavera, Handel racconta che oggi si occupa di progettare il recupero di aree urbane degradate e studia le cause dei cambiamenti climatici, gli effetti e le possibili soluzioni, tornando nei luoghi d’origine. Il megaprogetto di Freshkills Park, opera di riconversione di una delle più grandi discariche del mondo in area verde per New York, porta la sua firma.
Importantissima inoltre la collaborazione di Francesca Benedetto, architetto paesaggista e designer. Sono sue le circa sessanta cartine artistiche, mappe di terra, di cielo e di mare, che troviamo nel libro.
Le immagini di entrambe le mostre sopra citate sono in collezione permanente alla GAMeC e parte di queste sono adesso esposte nuovamente in occasione della mostra Collezione impermanente, inaugurata a marzo 2022, che presenta nuove acquisizioni in relazione alla storica collezione del museo.
Per Rovaldi la geografia dei luoghi è un’immagine elastica che può cambiare a seconda del nostro stato d’animo, così come la capacità umana di mettere in connessione storie lontane, e proiettarsi in nuovi mondi possibili. Anche passeggiare ai margini di New York è stato un modo per immaginare questi mondi, queste realtà nuove, in un collegamento tra passato e futuro, e tra luoghi anche lontanissimi tra loro.
Credo che la prossima volta a New York non potrò fare a meno di visitare i margini, con gli occhi ben aperti, delle buone scarpe, alla ricerca del mio passato e del mio futuro, e in ascolto del suono del becco del picchio.