di Luca Sorbo
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Le impronte di luce affascinarono immediatamente il pubblico e gli intellettuali napoletani.
Macedonio Melloni, direttore dell’Osservatorio Vesuviano, lesse il 12 novembre 1839 alla Reale Accademia Delle Scienze la prima Relazione Intorno al Dagherrotipo in Italia. Gaetano Fazzini, fisico e architetto, fu il terzo in Italia a sperimentare pubblicamente giovedì 28 novembre 1839, alle 10.30, la nuova invenzione a palazzo Diomede Carafa, dove abitava il ministro degli Affari Interni Santangelo, come riporta l’Omnibus, rivista culturale dell’epoca.
Purtroppo a questi entusiasmi non corrispose un’attenzione delle istituzioni come accadde in Francia, in Inghilterra e in America e il corposissimo materiale prodotto in città nell’Ottocento e nel Novecento non è stato conservato in modo sistematico. Napoli vive lo strano destino che le immagini ottocentesche della città sono più numerose negli archivi di altre città italiane ed europee che in quelle cittadine. La motivazione è semplice: essendo Napoli una delle principali tappe del Grand Tour, le fotografie che la raffiguravano erano acquistate dai facoltosi turisti che le portavano nelle città di origine dove in seguito venivano acquisite dalle istituzioni locali.
Questa dispersione determina una grande difficoltà nel ricostruire la storia della fotografia a Napoli e in Campania, poiché abbiamo una conoscenza parziale delle immagini prodotte e degli studi fotografici operanti; e questo vale per l’Ottocento, ma anche per tutto il Novecento.
Mi preme ricordare che la fotografia è stata riconosciuta come bene culturale solo nel 1999 e quindi solo da questa data sono stati attivati corsi di Storia della fotografia nelle Università e nelle Accademie. Prima di questa data sono da ricordare solo gli importanti contributi di Italo Zannier, che ha avviato uno studio sistematico della storia della fotografia e di Paolo Monti che, però, ha concentrato la sua attenzione sulle potenzialità del linguaggio fotografico.
Le raccolte fotografiche a Napoli sia pubbliche sia private sono molto numerose, ma poche sono state catalogate e sono fruibili solo tramite complesse autorizzazioni.
Una prima panoramica è possibile leggerla nel numero monografico della rivista Meridione che ho curato nel 2002 con Silvia Cocurullo, dal titolo Napoli e la fotografia, e nel numero monografico della stessa rivista, di cui sono stato curatore unico nel 2007, dal titolo Saggi e riflessioni sulla fotografia a Napoli, entrambi editi dalla ESI.
In questa sede è impossibile dare conto di tutte le raccolte fotografiche presenti in città e di tutti i contributi alla storia della fotografia che si sono avuti. Ho, però, piacere di soffermarmi su una realtà che, oltre a conservare immagini di assoluto interesse sia per Napoli che per l’Italia, è anche un luogo di grande bellezza, dove si respira il fascino della fotografia, lo Studio Parisio, oggi Archivio Parisio, sito a piazza Plebiscito all’interno del porticato di San Francesco di Paola e di fronte al Palazzo Reale. Questa fu la sede dell’atelier fotografico di Giulio Parisio, il più importante studio di Napoli tra le due guerre che conserva ancora oggi la sala di posa, alcune attrezzature e lo spazio espositivo di quella prestigiosa realtà culturale e commerciale. Oggi è sede dell’associazione Archivio Parisio, nata nel 1995 su iniziativa di Stefano Fittipaldi, che oltre a gestire le settantamila lastre del fondatore dello studio ha l’onore e l’onere di gestire le settecentomila lastre dello studio Troncone, attivo dai primi del Novecento fino agli anni Settanta. Fondamentale nell’attività dell’associazione è il ruolo di Giuliana, moglie di Stefano, che con grande passione e sacrificio si è impegnata per tutelare e valorizzare questo importate lascito culturale.
Questo luogo, che oggi vive una profonda difficoltà, dovuta a problemi burocratici relativi alla proprietà dello spazio, potrebbe essere la degna Casa della fotografia di Napoli, dove si potrebbe promuovere, in collaborazione con Villa Pignatelli, la ricchissima eredità culturale e materiale della fotografia campana e napoletana.
Voglio sottolineare senza alcun timore che Giulio Parisio è uno dei giganti della fotografia italiana, un autore complesso che ha saputo unire una straordinaria capacità commerciale con una ricerca artistica di altissimo livello. Marinetti lo definì il più futurista del fotografi napoletani e questo riconoscimento è più che meritato, perché le sue innovazioni visive furono di grande efficacia e coerenza. Non si limitò ad applicare i suggerimenti del Manifesto della fotografia futurista, ma sviluppò una sua personale ricerca. Le sue creazioni si giovarono di mezzi molto semplici come ritagli di cartone, ma ripresi con sapienza e con efficaci giochi di ombre e di luce. Esempio molto noto ne è l’immagine denominata Uscita dal convento, Mascherine e Pinguini. Utilizzò anche fotocomposizioni, solarizzazioni, distorsioni ottiche, fotomontaggi. Purtroppo i suoi innegabili legami con il regime fascista hanno determinato un cono di ombra sulla sua attività che dura fino a oggi. Nel 1938 si occupò della scenografia per la visita di Hitler a Napoli e nel 1942 fu podestà di Cava dei Tirreni: è quindi evidente la sua adesione al Fascismo, ma oggi, a un secolo da quei tragici eventi che sconvolsero la storia italiana, dobbiamo avere la capacità di distinguere tra le scelte personali dell’uomo e il suo talento di fotografo.
Nato a Napoli il 14 marzo del 1891 fu uno dei fotografi italiani più noti della sua epoca. Partecipò a numerosi eventi nazionali e internazionali tra il 1930 e il 1935, come il Concorso fotografico nazionale, la Mostra Fotografica Futurista a Trieste nel 1932, la Prima Grande Mostra Fotografica Nazionale Futurista a Roma nel 1933, la Prima Biennale Internazionale d’Arte Fotografica, la Mostra Universale di Bruxelles nel 1935.
Un altro genere in cui eccelse fu il ritratto, che non fu solo un’attività commerciale, ma diventò uno strumento per la sua ricerca artistica. Incontrava più volte i soggetti da ritrarre al fine di comprenderne le caratteristiche fisiche e psicologiche da esaltare nell’opera finale. L’uso del flou e di pregiate carte di stampa rendeva le sue immagini uniche, e le fece diventare un vero e proprio status symbol per l’alta borghesia e l’aristocrazia cittadina.
Il suo lavoro più noto è la mostra Pittori e scultori napoletani attraverso il mio obiettivo, inaugurata il 27 marzo 1929 nella sala della Bottega di decorazione, dove erano esposti 102 ritratti.
Vasta è anche la sua produzione per la propaganda fascista, come, ad esempio. la foto denominata DUX che riproduceva una folla infinita di persone a piazza Plebiscito.
Nel 1933 all’Esposizione internazionale di Chicago presentò un procedimento nuovo, le fotoluminose e cioè delle pellicole porcellanate di due metri per venti racchiuse tra due cristalli.
Un notevole numero di lastre sono quelle riguardanti la fotografia di documentazione industriale. Il suo primo lavoro rilevante fu quello per le Manifatture Cotoniere mediterranee. Da non dimenticare sono le immagini per l’ITALTRAFO (che poi diventerà ANSALDO), la FMI, la MECFON, l’ITALSIDER, la CEMENTIR, la SOFER, la PIRELLI, la OLIVETTI, la RAL, la FAG, le TERME DI AGNANO, LE TERME DI CASTELLAMARE, la ETERNIT, la CAROLA, la ALOSA, la GAMBOGGI, la GETRA. Nel 1964 lo studio fu rilevato dal figlio che cercò di continuare l’attività del padre, ma con minore successo, anche per le mutate condizioni storico-sociali.
Un altro fondo conservato dall’associazione Archivio Parisio è quello relativo alle Edizioni Fotografiche F.lli Troncone dei fratelli Vincenzo (1887-1973) e Guglielmo (1890-1970) Troncone, fondata nel 1929. Sono settecentomila lastre che testimoniamo la loro collaborazione con diverse testate giornalistiche, la prima delle quali fu Il Mezzogiorno Sportivo, poi trasformatosi nel Mezzogiorno. Dal 1930 i fratelli Troncone collaborano con il ROMA, documentando la cronaca dell’intera città.
Rilevante è la loro collaborazione con i Cantieri Navali di Castellammare dal 1939. Nel dopoguerra, nonostante le molte difficoltà, riescono ad avviare nuove collaborazioni con la Prefettura, con il Comune di Napoli, con l’Ente Autonomo Porto, con l’Ente provinciale del Turismo, con la Scuola Militare Nunziatelle e altri. Negli anni ’50 subentra anche il figlio di Guglielmo Troncone, Vittorio, che collabora nelle nuove campagne fotografiche per la Tirrenia, la Società italia, La Lloyd Adriatico, L’Adriatica e la Compagnia Napoletana Gas. A metà degli anni ’60 del Novecento si ha un forte ridimensionamento della ditta: i fondatori si ritirano dall’attività, mentre Vittorio abbandona il fotogiornalismo per occuparsi solo del settore economico-industriale.
L’archivio Parisio è un patrimonio non solo della città di Napoli, ma dell’Italia intera e la sua tutela e valorizzazione richiede un serio impegno delle istituzioni.
Altre informazioni sono reperibili sul sito www.archiviofotograficoparisio.it
L’archivio è consultabile solo su appuntamento.